La chirurgia mininvasiva e robotica per la cura del pancreas
Nel novembre 2021, presso l’Ospedale Maggiore di Parma, si è svolta un’operazione di chirurgia mininvasiva estremamente complessa nota come duodenocefalopancreasectomia (DCP). Essa ha permesso di asportare e ricostruire parte di pancreas, duodeno e vie biliari. La paziente, malata oncologica di 73 anni, si è sottoposta ad un delicato intervento di ben otto ore con ottimi risultati, nonostante la procedura si presti in generale a numerose complicazioni.
L’intervento è stato condotto con chirurgia laparoscopia da un’esperta equipe di Clinica chirurgica generale con l’aiuto fondamentale di un robot chirurgico. Entrambe le fasi dell’operazione, sia quella demolitiva che ricostruttiva, sono state possibili grazie al Da Vinci, famoso robot-chirurgo in dotazione anche alla struttura ospedaliera di Parma.
Duodenocefalopancreasectomia: di cosa si tratta?
La DCP, anche chiamata procedura di Whipple, rappresenta una tra le più complesse operazioni di chirurgia addominale e il più comune intervento al pancreas. Le difficoltà che la riguardano sono molteplici, legate sia alla fase operatoria che al decorso postoperatorio. Il grado di complessità maggiore è dovuto al sito di intervento, trattandosi di un intervento che interessa organi molto profondi, strettamente connessi a ciò che li circonda.
La procedura, che ha una durata media di 6-8 ore, si seleziona solo in base al tipo di patologia pancreatica, ma anche, a parità di malattia, in base alle caratteristiche del paziente stesso. Le percentuali di possibili candidati a questo intervento così delicato sono in generale molto basse. La DCP permette il trattamento chirurgico nei casi di tumore generalmente localizzato a livello della testa del pancreas, dei dotti biliari, ma anche, sebbene raramente, per patologie benigne, come la pancreatite cronica.
Un altro aspetto di grande complessità della DCP è dovuto all’elevato numero di procedure per asportare tessuto e poi successivamente ricostruire gli organi intaccati. L’operazione, composta di tanti passi, prevede di asportare non solo la testa femorale, dove di solito si concentra la patologia, ma di recidere, per questioni anatomiche, anche il duodeno, la porzione terminale delle vie biliari e la cistifellea. In alcuni casi avviene anche l’asportazione di una porzione di stomaco. Nella fase ricostruttiva si ricollegano gli organi tra loro a ricostituire l’anatomia. La sutura, o anastomosi, tra pancreas residuo e intestino è quella che può creare più problemi in fase postoperatoria
La duodenocefalopancreasectomia, sebbene estremamente complessa, non è una tecnica recente. Essa risale al 1898, quando il chirurgo bolognese Alessandro Codivilla la descrisse per la prima volta. Tuttavia la procedura non porta il nome dell’italiano bensì dell’americano Whipple, colui che ne ideò una versione migliorata, riducendo i passi necessari per realizzarla. Oggi questa operazione, che si realizza nei centri di Chirurgia generale, beneficia di tecniche avanzatissime, come la chirurgia laparoscopica e robotica. Tuttavia nella maggior parte dei casi si esegue con tecnica laparotomica, cioè aprendo l’addome del paziente al fine di permettere al chirurgo di avere una buona visione del campo operatorio. Sono pochi i centri in cui l’operazione si esegue per via mininvasiva, senza o con l’uso di un robot chirurgico.
Chirurgia mininvasiva
La procedura di intervento open è oggi il gold standard nell’intervenire sulla ghiandola pancreatica. La tecnica laparoscopica, o mininvasiva, però si sta sempre più affermando come valida alternativa, nell’ottica di ridurre i tempi di intervento e migliorare il decorso postoperatorio. Nella chirurgia mininvasiva l’accesso nella cavità addominale avviene con tagli molto piccoli, con incisioni da 5 a 15 millimetri. La riduzione del trauma permette così alla persona operata di poter recuperare le normali attività più velocemente, con minor dolore e meno problematiche legate all’incisione chirurgica.
Nella laparoscopia il chirurgo opera il paziente tramite sottili strumenti e con un campo operatorio visibile tramite monitor, dal momento che delle videocamere vengono a loro volta inserite nelle piccole incisioni. Seppure una tecnica molto sdoganata in vari ambiti chirurgici, ha iniziato ad essere applicata tardi alla chirurgia pancreatica e soprattutto alla DCP. Tutto questo a causa della profondità anatomica dell’organo e alla complessità delle tecniche che lì si applicano, con una richiesta di professionisti con una solida esperienza nella chirurgia mininvasiva e pancreatica.
Chirurgia robotica
Negli ultimi due anni presso l’Ospedale Maggiore di Parma si sono svolti ben 25 interventi di chirurgia pancreatica con tecnica robotica. La robotizzazione chirurgica nasce proprio per superare alcune carenze della sola laparoscopia e facilitare l’intervento. Il robot infatti riesce ad accedere al sito di intervento con minori difficoltà pur con piccole incisioni, determina minore sanguinamento e ha maggiore facilità nell’esecuzione di procedure difficoltose per l’operatore umano, che comunque ne ha sempre il controllo e lo manovra da una consolle vicina al campo operatorio.
Gli interventi di DCP a Parma vengono eseguiti dal robot Da Vinci, approvato dalla Food and Drug Administration americana nel 2000. Esso è dotato di quattro bracci artificiali in grado di manipolare strumenti con un range di movimenti paragonabili a quelli di un chirurgo e con un filtraggio dei tremori fisiologici. Questo dispositivo offre al medico un campo visivo tridimensionale e la possibilità di operare con elevatissima accuratezza. Utilizzato ormai in tutto il mondo per gli interventi di Chirurgia generale, tuttavia non è ancora così sdoganato nella chirurgia del pancreas, essendo molto complessa, e rimane appannaggio di pochi centri molto specializzati, come appunto l’Ospedale Maggiore.