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Lecanemab: una nuova speranza contro l’Alzheimer

Recentemente sono stati pubblicati dal New England Journal of Medicine i risultati di Lecanemab. Esso è un farmaco in fase sperimentale in grado di rallentare il declino cognitivo nei malati di Alzheimer se somministrato durante le fasi precoci della patologia. Eisai e Biogen sono gli inventori di questo farmaco e negli USA queste due aziende hanno già richiesto la sua approvazione ed entrata in commercio.

Meccanismo d’azione del Lecanemab

L’Alzheimer è caratterizzato da una perdita progressiva della funzione mentale, causata dalla degenerazione del tessuto cerebrale, con perdita di cellule nervose, accumulo di una proteina anomala ed insolubile chiamata beta-amiloide e sviluppo di intrecci neurofibrillari.

Lecanemab è un anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato che si lega con alta affinità alla proteina beta amiloide. Questa proteina se presente in quantità consistenti nel cervello, forma delle placche che hanno un importante ruolo nella degenerazione del tessuto nervoso. Le cellule non sono in grado di metabolizzare e rimuovere l’amiloide, così essa si accumula nel cervello portando al progredire della demenza e quindi dell’Alzheimer.

Lecanemab viene somministrato nelle fasi precoci della malattia, ovvero quando i pazienti iniziano a presentare lievi disturbi della memoria, soprattutto per azioni compiute di recente. Durante le prime fasi dell’ Alzheimer, inoltre, le persone hanno difficoltà ad apprendere nuovi concetti e faticano ad orientarsi nello spazio e nel tempo.

Lecanemab: metodi

Uno studio di 18 mesi è stato condotto su persone in età compresa tra i 50 ed i 90 anni con malattia di Alzheimer in fase iniziale (lieve deterioramento cognitivo e demenza). I partecipanti sono assegnati in modo casuale in un rapporto 1:1 a ricevere Lecanemab per via endovenosa (10 mg per chilogrammo di peso corporeo ogni 2 settimane) oppure placebo. La loro cognizione è poi valutata utilizzando una scala a 18 punti chiamata Clinical Dementia Rating-Sum of Boxes (CDR-SB). I medici calcolano il punteggio CDR-SB di un paziente intervistandolo e testando le sue capacità in aree come la memoria e la risoluzione dei problemi.

I risultati mostrano che Lecanemab ha ridotto l’amiloide nel cervello dei pazienti, rallentando il declino cognitivo. Coloro che hanno ricevuto il trattamento hanno ottenuto, in media, 0,45 punti in più sul CDR-SB rispetto a quelli del gruppo placebo. Anche se questa è una piccola differenza, potrebbe essere un buon punto di partenza per future ricerche. L’FDA sta esaminando Lecanemab per un’approvazione accelerata sulla base dei risultati ottenuti in fase sperimentale e l’agenzia prevede di annunciare la sua decisione a gennaio.

Qual è stato il primo farmaco per l’Alzheimer?

L’anno scorso l’FDA, dopo varie controversie, ha approvato Aducanumab. Questo farmaco è un altro anticorpo monoclonale sviluppato da Biogen che però non ha portato a chiari benefici cognitivi durante la sperimentazione clinica. Gli studi hanno dimostrato che Aducanumab è in grado di eliminare i depositi di amiloide nel cervello, ma solo un sottogruppo di partecipanti ha mostrato un rallentamento del declino cognitivo. Oltre a ciò, questo farmaco ha anche causato edema cerebrale ed emorragie nel 40% dei partecipanti allo studio.

Sviluppi futuri contro l’Alzheimer

L’amiloide è solo un componente della malattia dell’Alzheimer. Una seconda proteina, denominata “tau”, è molto più pericolosa ed è la vera responsabile del declino cognitivo nei pazienti affetti dalla malattia. In futuro i ricercatori dovranno puntare su un approccio multifarmaco. In questo modo si potrà agire sia sull’amiloide che sulla proteina tau e ciò potrebbe veramente portare a miglioramenti significativi nei malati di Alzheimer.

Oltre ai farmaci, le persone affette dalla patologia hanno anche bisogno di supporto. Bisogna insegnare ai pazienti e a chi gli sta accanto a gestire il progredire della malattia, perché la progressiva perdita cognitiva porta anche a conseguenze nel normale svolgimento delle attività quotidiane. Le persone affette dall’Alzheimer sono consapevoli, soprattutto durante la fase iniziale, delle proprie difficoltà e dei propri fallimenti. Questo può portare ad ulteriori complicanze, specialmente sull’umore dei pazienti che possono manifestare depressione, ansia, aggressività con un conseguente peggioramento della loro condizione.

Published by
Carolina Gabetta