Tre bambini affetti da leucemia linfoide acuta a precursori B-cellulari LLA-BCP, un particolare tipo di leucemia refrattaria a tutte le terapie convenzionali, sono stati curati con la terapia a base di cellule CAR-T ottenute a fresco. Per tutti e tre i pazienti è stata documentata la remissione completa della malattia, già due settimane dopo l’infusione. L’unico effetto collaterale riscontrato è stata la febbre, causata dal rilascio di molecole infiammatorie da parte delle stesse CAR-T. Questo è stato possibile grazie alla produzione di queste cellule geneticamente modificate attraverso un innovativo processo automatizzato sviluppato presso l’Officina Farmaceutica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
Pur essendo una patologia piuttosto rara, la leucemia linfoide acuta è tra le neoplasia maligne più diffuse in età pediatrica. Questa patologia è causata da una serie di aberrazioni genetiche acquisite. La trasformazione maligna e la conseguente incontrollata proliferazione delle cellule colpite, in genere cellule progenitrici ematopoietiche (staminali pluripotenti), portano alla sostituzione degli elementi sanguigni normali con cellule maligne. Le cellule colpite possono essere linfociti B o T nel midollo osseo emopoietico.
I precursori linfoidi che possono subire queste aberrazioni sono generalmente classificati in base alla loro linea. Si hanno quindi:
La terapia della LLA è molto complessa e prevede diversi approcci terapeutici e una diversa intensità del trattamento. Le possibili terapie applicabili contro la LLA sono la chemioterapia sistemica, la chemioterapia profilattica del sistema nervoso centrale, radioterapia, immunoterapia, trapianto di cellule staminali e altre terapie mirate. Nonostante la varietà de trattamenti applicabili, è possibile che le cellule leucemiche ricompaiano nel midollo osseo, nel sistema nervoso centrale, nei testicoli o in altri siti. Nonostante sia possibile che un secondo ciclo di chemioterapia sia in grado di indurre una seconda remissione nella maggior parte dei casi, le remissioni successive tendono ad essere brevi. In particolare, nel caso di recidive precoci, l’applicazione della chemioterapia risulta efficace in pochi casi.
Negli ultimi anni sono stati sviluppati nuovi approcci terapeutici che hanno mostrato risultati notevoli nei casi di leucemie acute linfoblastiche recidivate/refrattarie. Un esempio sono proprio le cellule T esprimenti il recettore chimerico dell’antigene, ingegnerizzate e generate dalle cellule T del paziente stesso. Nonostante venga riscontrata un’elevata tossicità, queste cellule ingegnerizzate riescono a indurre la remissione nei pazienti con leucemia linfoblastica acuta recidivante con notevole efficacia.
La terapia genica a base di CAR-T (Chimeric Antigen Receptor) fa parte delle terapie cellulari, ovvero quei trattamenti che utilizzano cellule o tessuti manipolati in laboratorio in modo da modificarne le caratteristiche e offrire nuove prospettive nel trattamento di determinate patologie. In particolare, l’idea di base è quella di potenziare le cellule del nostro sistema immunitario, in particolare le cellule T, in modo da creare cellule ingegnerizzate che possano riconoscere le cellule tumorali, individuarle e distruggerle in modo più efficiente.
Come suggerisce il nome, alla base di questa terapia ci sono proprio le cellule T, ovvero l’arma di difesa che il nostro corpo utilizza quando entra in contatto con “invasori esterni” come batteri, virus e funghi. Queste cellule orchestrano la risposta immunitaria e hanno il compito di uccidere le cellule infettate da agenti patogeni. In particolare, nella tecnica sviluppata per produrre le cellule CAR-T, all’interno del DNA delle cellule T viene inserito un gene che fa esprimere il recettore CAR. Questo recettore non esiste in natura. Si tratta di una molecola sintetica che permette alle cellule T di riconoscere e legarsi a una specifica proteina, o antigene, sulle cellule tumorali e svolgere la loro funzione citotossica.
Al paziente che si deve sottoporre a terapia genica a base di CAR-T viene prelevato il sangue e successivamente vengono isolate le cellule T. Queste vengono ingegnerizzate per esprimere il CAR specifico per l’antigene e, successivamente, vengono espanse per riuscire ad ottenerne un numero molto elevato. Il passo finale è la reinfusione delle cellule CAR T nel paziente. Se tutto procede come previsto, le cellule ingegnerizzate si moltiplicano ulteriormente nel corpo del paziente e, con la guida del loro recettore ingegnerizzato, riconoscono e uccidono le cellule tumorali che ospitano l’antigene sulla loro superficie.
Il vantaggio grande di questa tecnica è che rappresenta un trattamento personalizzato, proprio perchè viene sviluppato individualmente per ogni paziente.
Il primo successo di questa tecnica è stato ottenuto nel 2012 negli Stati Uniti su una bambina di sette anni con leucemia linfoblastica acuta. A partire da questo momento sono partite numerose sperimentazioni in tutto il mondo. Grazie ai risultati ottenuti, di recente la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato il primo farmaco a base di CAR-T sviluppato dall’industria farmaceutica.
A causa della refrattarietà della patologia, i tre pazienti in cura presso L’Ospadale Bambin Gesù di Roma sono stati inseriti nel protocollo di trattamento sperimentale e, quindi, sono stati trattati con cellule geneticamente modificate per esprimere il recettore CAR. Il bersaglio tumorale è la proteina CD19, espressa sui linfociti B di alcuni linfomi non Hodgkin e della leucemia linfoblastica acuta.
Il sistema automatizzato per l’ingegnerizzazione di queste cellule ha permesso di ottenere in due settimane un numero di cellule CAR-T largamente superiore alla dose necessaria per la prima fase del trattamento. In questo modo, i ricercatori hanno potuto congelare parte delle cellule prodotte, che potranno essere utili nel caso di trattamenti di consolidamento. Inoltre, questa procedura automatizzata ha permesso di ridurre il numero di personale necessario per lo sviluppo delle CAR-T, contenendo, di conseguenza, il rischio di contaminazione del prodotto e generando una procedura più standardizzata.
In tutti e tre i casi, i pazienti hanno tollerato bene la reinfusione a fresco delle cellule e, dopo solo due settimane, è stata accertata la remissione completa della malattia. Ora, lo studio continuerà con la valutazione di altri due livelli di dosaggio e proseguirà con l’attivazione della fase II.
Si tratta di un risultato estremamente promettente che si aggiunge agli altri studi clinici basati sull’utilizzo di questa terapia. Nonostante lo studio non sia ancora terminato, le cellule CAR-T si dimostrano una piattaforma con un enorme potenziale nel trattamento delle forme refrattarie di LLA-BCP.