La morte, contrariamente a quanto si può pensare, non è un processo istantaneo: ovvero, non tutte le cellule dell’organismo muoiono contemporaneamente e, di conseguenza, non tutte le attività fisiologiche si fermano insieme. Molti organi e tessuti continuano a mostrare almeno bassi livelli di attività anche molte ore dopo il decesso. Ciò che potrebbe ancora più sorprendere, a primo acchito, è che alcuni tipi di cellule del cervello sembrano addirittura aumentare la loro attività per alcune ore dopo la morte dell’organismo.
In un nuovo studio, alcuni ricercatori, hanno rimosso pezzettini di tessuto cerebrale durante interventi di neurochirurgia, svolti al fine di curare determinati disturbi neurologici, come per esempio alcune forme di epilessia che non rispondevano al trattamento con i farmaci. In genere, una parte del tessuto rimosso in questo tipo di intervento non viene usato dal patologo e quindi viene o gettato via o, al posto di sprecarlo, usato per fini di ricerca.
Quando un pezzettino di cervello (o comunque di qualunque organo del copro umano) viene rimosso dall’organo intero è un po’ come se si “simulasse”, per quel pezzettino di tessuto, una condizione di morte. Dopo la separazione dal cervello, infatti, questi pezzetti di tessuto non ricevono più né ossigeno né altri nutrimenti (ad es. glucosio) proprio come avviene nella morte naturale. I ricercatori dello studio hanno studiato l’espressione dei geni a diverse ore dopo la rimozione, simulando appunto, grossomodo, lo stato di morte.
I ricercatori hanno visto che in un tipo di cellule cerebrali, noto come glia, l’attività di alcuni geni aumenta alcune ore dopo la morte, e che queste cellule mostrano chiari segni di maggiore attività nonostante la condizione di morte simulata. Nel cervello vi sono essenzialmente due grandi categorie di cellule (ulteriormente divisibili poi in molti sottotipi diversi). I neuroni sono le cellule considerate alla base dei processi nervosi veri e propri, come il movimento, la percezione e il pensiero; la glia è invece costituita da cellule che, in qualche modo, danno supporto ai neuroni.
Tale supporto però non è da considerarsi una attività secondaria o marginale, anzi è talmente importante che il normale funzionamento dei neuroni non può avvenire in presenza di alterazioni della glia. In particolare, un sottotipo di cellule della glia, la cosiddetta microglia, è responsabile di fare un po’ da spazzino nel tessuto cerebrale, ripulendolo da detriti e sostanze di scarto; quindi, queste cellule si attivano in condizioni in cui c’è un certo danno del tessuto nervoso.
I ricercatori dello studio hanno osservato che i neuroni, quindi le cellule nervose vere e proprie, muoiono abbastanza rapidamente dopo la cessazione dell’apporto di nutrienti, una nozione questa nota già da molto tempo e riconfermata dallo studio mediante la valutazione dell’attività dei geni neuronali. Al contrario, i ricercatori hanno anche osservato un parallelo aumento dell’attività a carico della microglia per molte ore, anche oltre 24 ore, dopo la “morte simulata”. Tale aumento, che potrebbe sembrare paradossale, è in realtà in pieno accordo con la funzione della glia stessa: la scomparsa del flusso di ossigeno e nutrienti, unita anche all’inizio della morte neuronale, rappresenta, infatti, una condizione di danno e pertanto non è affatto sorprendente che l’attività della microglia aumenti proprio alcune ore dopo la morte. Ovviamente, prima o poi l’energia a disposizione della microglia cesserà (essendo cessato l’apporto di sangue al tessuto) e quindi anche le cellule della microglia “moriranno”.
La scoperta non è solo fine a se stessa e non rappresenta soltanto una curiosità, magari un po’ macabra per alcuni. Rappresenta invece un risultato molto importante da un punto di vista pratico perché molte ricerche effettuate in diversi ambiti di malattie neurologiche e psichiatriche (Alzheimer, autismo, Parkinson, ecc.) usano proprio pezzetti di tessuto cerebrale prelevato, dopo la morte, dal cervello dei pazienti. Se i ricercatori che usano queste tecniche non prendono in considerazione l’aumento dell’attività osservato in cellule della glia dopo la morte, potrebbero interpretare in maniera errata i risultati dei loro esperimenti.
Articolo a cura di Angelo Molinaro.