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Macchina cuore-polmone: come funziona?

Macchina cuore-polmone: come funziona?

Macchina cuore-polmone: come funziona? Credits: https://medicalxpress.com/

La macchina cuore-polmone (anche chiamata Circolazione Extracorporea o Bypass Cardiopolmonare) è uno strumento molto affascinante, con un’importanza letteralmente vitale per i pazienti e dietro alla sua costruzione c’è davvero del genio.

Il cuore e i polmoni lavorano insieme per apportare alle cellule dell’organismo ossigeno, necessario al loro sostentamento e per espellere elementi di scarto come l’anidride carbonica. L’apparato cardiocircolatorio svolge evidentemente delle funzioni vitali per l’essere umano. Possono esserci, però, occasioni in cui risulta indispensabile un intervento di chirurgia a cuore aperto, durante il quale il cuore deve essere fermo ed esangue. Un trapianto di cuore, un intervento per riparare un danno al cuore o magari a una sua parte (come una sostituzione di una valvola cardiaca o problemi causati da una malformazione o una malattia genetica), oppure un danno a vasi sanguigni molto a ridosso del cuore.

Come è nata la macchina cuore-polmone?

La storia della nascita della macchina cuore-polmone inizia poco prima delle tre di pomeriggio del 3 ottobre 1930, quando due medici, il Dr. Edward D. Churchill e il Dr. James White, furono chiamati al capezzale di una paziente di mezza età, piuttosto obesa, pallidissima e sudaticcia e che respirava con difficoltà. Con loro lavorava uno specializzando, il Dr. Gibbons.

La diagnosi della paziente fu embolia polmonare massiva. All’epoca, l’unica cosa che potevano fare era prepararsi ad eseguire una procedura di embolectomia d’emergenza, da eseguire solo in caso la paziente fosse arrivata ad un punto di non ritorno.

Proprio la mattina dopo la paziente perse conoscenza, così il Dr Churchill decise di intervenire e in 6 minuti e mezzo rimosse l’embolo. La paziente non riprese mai più conoscenza, ma questo episodio diede il via ad una serie di rimuginazioni che segnarono i successivi 20 anni del Dr. Gibbons. Se ve lo state chiedendo, si, è lui il medico che ha inventato la macchina cuore-polmone.

In realtà la prima idea di una circolazione extracorporea risale a parecchio tempo prima. Nel 1812 LeGallois già ragionava sull’importanza di una macchina che potesse sostituire il cuore. Ci volle quasi un secolo denso di scoperte (come quella dell’ossigenazione del sangue o la scoperta dell’eparina) per arrivare a un primo prototipo. Bisogna però aspettare il 1953 per vedere un’operazione riuscita. La paziente era una diciottenne e l’intervento durò 26 minuti (considerate che oggi gli interventi che usano la macchina cuore polmone possono durare anche diverse ore).

Come funziona la macchina cuore-polmone?

Una macchina cuore-polmone permette di sostituire in maniera totale o parziale le funzionalità di cuore e polmoni.

In pratica, durante l’intervento chirurgico, il cuore e i polmoni smettono di funzionare, ma il paziente resta in vita perché le loro funzionalità sono totalmente sostituite dalla macchina. In questo modo il chirurgo è in grado di intervenire direttamente sul cuore, anche per diverse ore.

Il circuito della CEC è costituito da:

  • Cannule venose: inserite generalmente nella vena cava superiore e inferiore
  • Una linea di drenaggio venoso
  • Un serbatoio di raccolta del sangue venoso, definito reservoir
  • Una serie di pompe meccaniche
  • Lo scambiatore di calore, anche chiamato gruppo caldo-freddo
  • Un ossigenatore
  • Una linea di drenaggio arterioso
  • Una cannula arteriosa per la reinfusione del sangue in circolo (inserita il più delle volte a  livello aortico, oppure a livello femorale o ascellare).

Durante un bypass cuore-polmoni, per prima cosa vengono inserite le cannule per collegare il paziente al circuito. A seconda dell’intervento che si deve eseguire, viene fatto un taglio sulla vena o sull’aorta e viene inserita la cannula, tutto questo seguendo un protocollo che permette al paziente di non dissanguarsi. Queste cannule sono generalmente costituite di PVC e sono rinforzate con una spira metallica per evitare ostruzioni causate da attorcigliamento. Il drenaggio viene accolto nel reservoir grazie alla gravità: esso è posto a circa 40-70 cm sotto il livello del cuore. Il reservoir permette di aggiungere farmaci, fluidi o sangue autologo e di avere tempo a disposizione in caso di rallentamento del drenaggio venoso.

L’elemento che sostituisce il cuore è la pompa meccanica, che serve a generare un gradiente pressorio in grado di muovere il flusso del sangue nel circuito e nel sistema vascolare del paziente.

Nel circuito sono presenti 4 pompe: la pompa principale, la pompa per l’infusione di soluzione cardioplegica, la pompa per l’aspiratore da campo e il vent. Per quanto riguarda la pompa principale, ne esistono diversi tipi. Ad esempio la roller pump (o pompa peristaltica) è costituita da un rotore a cui sono applicati due o più rulli che, ruotando, “strozzano” parte del tubo, provocando l’avanzamento del fluido. La pompa centrifuga, invece, utilizza l’effetto centrifugo per movimentare il fluido.

Dopo la pompa meccanica sono posti in serie il gruppo caldo-freddo e l’ossigenatore. Il gruppo caldo-freddo induce l’ipotermia a livello sistemico, in modo da ridurre le funzioni metaboliche che richiedono ossigeno e da aumentare la solubilità dei gas all’interno del sangue, efficientando l’ossigenatore.

Anche se in teoria basterebbe sostituire solo il cuore, nella pratica è stato dimostrato che è molto più facile bypassare sia cuore che polmoni. L’ossigenatore serve proprio a sostituire i polmoni: fornisce ossigeno e rimuove anidride carbonica.

Ad oggi esistono diversi tipi di ossigenatori. Quello più famoso è l'”ossigenatore a bolle“: il sangue che passa nell’ossigenatore è sottoposto a un fluido gassoso fatto di bolle, composto al 95% di ossigeno e al 5% di anidride carbonica. In questo modo si ha un livello di ossigenazione del sangue ragionevole e si mantiene il livello di anidride carbonica nel range fisiologico normale. Dato che le bolle creano una sorta di schiuma, l’ossigenatore a bolle ha un filtro per levarla. La schiuma è composta da bolle, e vogliamo levarle prima che il sangue ossigenato ritorni al paziente.

In realtà oltre che nell’ossigenatore, sono presenti filtri anche nel reservoire e nella linea arteriosa. Questo per questioni di sicurezza, in modo che eventuali bollicine residue vengano eliminate prima che il sangue rientri nel paziente e faccia qualche danno.

Abbiamo quindi capito che la gestione dell’aria è cruciale. Per evitare ancora di più che all’interno del circuito ci sia aria, si usa il prime volume, ovvero un fluido che evita che il paziente vada in shock ipovolemico, che è uno shock causato dalla diminuzione acuta della massa sanguigna circolante.

Stato dell’arte e sviluppi futuri

È di fondamentale importanza il rispetto delle caratteristiche come biocompatibilità, inalterabilità fisica, sterilità, atossicità, ad oggi ancora questioni centrali in ambito di ricerca.

In particolare, attualmente lo stato dell’arte si concentra su:

  • Biocompatibilità, ovvero la capacità del materiale di provocare una risposta appropriata quando messo a contatto con il corpo umano in una specifica applicazione. Generalmente tutti i componenti del circuito hanno uno strato di copertura tipo di eparina o altri agenti che diminuiscono la coagulazione del sangue.
  • Circuito di perfusione minimizzato, quando è possibile utilizzarlo
  • La gestione dell’aria
  • Riduzione dell’emodiluizione e successiva necessità di trasfusione di componenti ematici omologhi nella cardiochirurgia pediatrica
  • Gestione del parametro fisiologico, come la pressione arteriosa media, le portate di bypass sistemico, i valori dell’ematocrito, l’apporto di ossigeno, le temperature sistemiche, la pulsatilità e la gestione acido-base.
  • Lo sviluppo di strategie farmaceutiche mirate al paziente, compresi i profili di rischio genetico per l’attivazione emostatica, che permetteranno di selezionare la tecnologia CPB appropriata per un determinato paziente.