L’avanzare degli studi tecnologici ha permesso di arrivare a un grande traguardo per la medicina: trovare un rimedio per i pazienti affetti da maculopatia. Si sarà forse giunti ad un punto di svolta? Intanto si sono poste le basi all’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma dove un paziente di 91 anni, affetto da uno stadio avanzato della malattia, è stato sottoposto all’intervento eseguito dal dottor Marco Pileri (Ph.D. Oftalmologo).
“La nostra aspettativa è ridare la possibilità di leggere lettere, numeri, parole e anche piccole frasi” così dichiara all’ANSA Andrea Cusumano, Direttore Scientifico del progetto per l’Italia e membro attivo del Macula & Genoma Foundation Onlus; questo perché la maculopatia è una patologia legata all’avanzare dell’età, che colpisce gli over-65.
La retina possiede una parte centrale, la macula, specializzata alla recezione di stimoli luminosi, attraverso i quali, tramite dei fotorecettori (cellule sensibili alla luce), trasforma il segnale luminoso percepito in segnale elettrico che, attraverso le terminazioni nervose, giunge al cervello fornendo l’informazione visiva acquisita.
Col tempo e con la perdita ad esso legato della piena funzionalità fisiologica dei tessuti interessati, questi fotorecettori tendono ad inibirsi, perdendo le loro capacità e causando una perdita parziale della vista. Esistono diversi stadi e forme di degenerazione della macula (secca- atrofica e umida-neovascolare), l’obiettivo è dunque quello di poter operare in qualsiasi condizione alla quale il paziente si trova.
È stato sviluppato un microchip (2x2mm con spessore di 30μ) con funzionamento wireless che, impiantabile sotto la retina tramite un intervento chirurgico mininvasivo, permette di replicare le funzioni dei fotorecettori danneggiati e quindi acquisire la luce e trasdurla in stimolo elettrico che, tramite il nervo ottico, giunge alla corteccia visiva. Questo microchip è accompagnato da delle strutture esterne di sussidio, ovvero degli occhiali a realtà aumentata con una micro fotocamera che acquisisce le immagini (catturando la scena visiva) e un computer tascabile che le trasforma in immagine luminosa che a sua volta è inviata alla retina tramite un proiettore inserito sugli occhiali. Ad idearlo è stato Daniel Palanker, professore di Oftalmogia presso l’Università di Stanford, in collaborazione con l’Institut de la vision di Parigi.
La svolta cruciale nello sviluppo di questa tecnologia, che è a tutti gli effetti una protesi retinica, sarà che, essendo i microchip modulabili, potranno essere adattati alle necessità del paziente variando la loro potenza o venendo montati in serie e aumentando così la potenza e il campo visivo perduto. Si potranno così sfruttare, apportandovi leggere modifiche, anche ad altre patologie oftalmiche. Ad oggi, la raccolta dati in merito a questo intervento è in continuo evolversi.
Ne è un esempio il paziente operato dal dottor Pileri, che sarà periodicamente monitorato per essere aiutato nell’allenamento atto a interpretare e comprendere gli impulsi e per verificare l’effettivo evolversi del recupero della vista. L’obiettivo futuro sarà quello di effettuare il maggior numero d’interventi simili possibile così da poter in primo luogo venire in contro alle necessità patologiche della popolazione italiana, e poi affinare la tecnologia in base ai riscontri ricevuti.
Questo chip, che prende il nome di PRIMA, è stato realizzato dalla società Pixium Vision, che si occupa di bioelettronica e tecnologia di interfaccia macchina-cervello. Il loro obiettivo principale è creare una visione bionica per chi ha perso le facoltà visive.
C’è da tener conto che l’impianto sottoretinico fa leva su una rete fisiologica ancora funzionante, ovvero gli strati interni. L’impianto fotovoltaico wireless PRIMA comprende 378 elettrodi con ogni pixel che possiede un feedback di controreazione elettrico locale che mira a fornire stimolazioni elettriche più mirate.
A cura di Ludovica Rotondo