Covid-19

Mascherine Vs 2019-nCov: il punto della situazione

Le mascherine sono particolari dispositivi capaci di ridurre l’esposizione di chi le indossa a sostanze estranee, tossiche o irritanti, come polveri sottili, ed a patogeni, quali batteri e virus.  Nel corso di pandemie, come quella attuale, determinata dal 2019-nCov, la mascherina assume una fondamentale importanza per contrastare la diffusione del virus e per contenere i contagi, diventando il più potente alleato di ogni soggetto, specie nella fase di lockdown e di ripresa delle normali attività.

Solitamente la fase di ritorno alla normalità che segue lo scoppio di una pandemia è quella più difficile da gestire, nonché la più insidiosa dal punto di vista epidemiologico. Diventa, quindi, particolarmente importante in tale fase osservare alcune regole fondamentali di comportamento, quali lavare frequentemente le mani, coprire naso e bocca con un fazzoletto quando si tossisce o starnutisce, evitare di toccare occhi, naso e bocca con mani non lavate, oltre a indossare un dispositivo di protezione individuale o comunque una comune mascherina chirurgica, specie in luoghi pubblici o affollati. A questo proposito occorre fare chiarezza, al fine di scegliere correttamente il tipo di mascherina da indossare ed essere consapevoli della misura in cui si è protetti in base al tipo di mascherina utilizzato.  

Tipi di mascherine esistenti

Le mascherine si dividono in due grandi gruppi:

  • mascherine chirurgiche: hanno lo scopo principale di proteggere il paziente dalla contaminazione da parte degli operatori (medici, infermieri) in ambiente sanitario. Servono, inoltre, a prevenire la contaminazione di cibo nell’industria alimentare. Rientrano nella classe di dispositivi medici e non sono considerate dispositivi di protezione individuale DPI;
  • mascherine protettive o facciali filtranti FFP1, FFP2 e FFP3 (o N95, N99 e N100 nella normativa americana): ideate per proteggere gli operatori dalla contaminazione esterna e per questo chiamate DPI (Dispositivi di protezione individuale).

Mascherine chirurgiche

Le mascherine chirurgiche sono dispositivi medici monouso, che rispondono alla normativa UNI EN 14683:2019+AC:2019, costituiti solitamente dalla sovrapposizione di tre strati in tessuto-non-tessuto e muniti di laccetti che permettono un certo grado, sebbene non completo, di aderenza al volto.

Le mascherine chirurgiche proteggono dalla diffusione di virus e batteri perché bloccano le goccioline presenti nelle secrezioni respiratorie emesse dalle persone che le indossano, evitando che i soggetti circostanti possano entrarne in contatto. Tuttavia non proteggono chi le indossa nei confronti di aerosol fini, che potrebbero contenere piccolissime particelle infettanti come i virus.  In termini percentuali possiamo dire che la capacità filtrante è pressoché totale verso l’esterno (superiore al 95% per i batteri ) mentre è molto ridotta, ossia di circa il 20%,  dall’esterno verso chi le indossa, sia per la scarsa aderenza al volto, sia perché le mascherine chirurgiche non garantiscono una protezione elevata nei confronti di virus provenienti dall’esterno, dal momento che non trattengono le particelle fini generate dall’aerosol. Per comprendere meglio quanto enunciato, andiamo ad approfondire meglio alcuni aspetti, ad esempio i materiali con cui sono costituite le mascherine chirurgiche e come vengono testate.

Mascherine chirurgiche: come sono fatte

Le mascherine chirurgiche sono costituite dalla sovrapposizione di  due o tre strati di tessuto-non-tessuto (TNT) in poliestere o polipropilene.

Generalmente lo strato più esterno è costituito da TNT in polipropilene di tipo spun bond (un tessuto non tessuto usato nel settore automobilistico e industriale) con eventuale trattamento idrofobo, che ha la funzione di conferire resistenza meccanica alla mascherina e proprietà idrofoba, capace di garantire un’ottima resistenza a liquidi e aerosol.

Lo strato intermedio è invece un TNT prodotto con tecnologia melt blown, un processo produttivo che permette di creare uno strato ad alta densità di filato, con una disposizione irregolare e tridimensionale delle fibre, che conferisce alla mascherina la straordinaria capacità filtrante. Vi è poi un eventuale terzo strato, quello più interno , tipicamente in polipropilene di tipo spun bond,  con una grande capacità assorbente, in grado di catturare l’umidità espulsa con l’espirazione, mantenendo asciutto il viso, e con proprietà ipoallergeniche, che proteggono la cute dallo strato filtrante.

Mascherine chirurgiche: come vengono testate

Le mascherine chirurgiche vengono testate nel senso dell’espirazione, ossia dall’interno verso l’esterno; il grado di protezione è, dunque, testato verso i soggetti che circondano l’indossatore. La conformità delle mascherine chirurgiche viene stabilita in base a tali normative:

  • Normativa europea EN 14683:2019+AC:2019: in base alla quale il livello di efficacia di una mascherina può essere di quattro tipi: tipo I, tipo II, tipo IR e tipo IIR.
  1. Tipo I: efficacia di filtrazione batterica superiore al 95%.
  2. Tipo II: efficacia di filtrazione batterica superiore al 98%. 
  3. Tipo R: la normativa europea prevede anche un test di resistenza alla proiezione, in base al quale le mascherine possono essere di tipo IR e IIR. Le mascherine IIR sono quelle più resistenti.
  • Normativa ASTM: in vigore negli Stati Uniti, prevede tre livelli di protezione:
  1. Livello 1: basso rischio di esposizione ai fluidi.
  2. Livello 2: rischio moderato di esposizione ai fluidi
  3. Livello 3: alto rischio di esposizione ai fluidi.

Mascherine chirurgiche: utilità e grado di protezione

La capacità filtrante delle mascherine chirurgiche verso l’esterno, ovvero il grado di protezione che offrono verso i soggetti che circondano l’indossatore, varia dal 95 al 98 % e riguarda essenzialmente i batteri, che hanno  in media dimensioni che vanno dai 200 a 30000 nm. Cosa succede invece quando il patogeno in questione è un virus? Per rispondere a questa domanda occorre precisare che i virus mediamente sono da 10 a 100 volte più piccoli dei batteri, con dimensioni che variano dai 20 nm ai 250-300 nm ( in particolare il nuovo coronavirus ha dimensioni di circa 100-150 nm). Dunque le mascherine in teoria riescono a filtrare una piccolissima frazione dei virus di grandi dimensioni, ma non riescono a bloccare la maggior parte dei virus di piccole dimensioni presenti in aerosol fini.  Per aerosol si intende un tipo di colloide in cui un liquido o un solido sono dispersi in un gas, ad esempio uno starnuto può causare una nuvola di gas, contenente goccioline patogene (aerosol), che può spostarsi per diversi metri. Per quanto riguarda invece la capacità filtrante  verso l’interno, ovvero il grado di protezione verso l’indossatore, questa è molto ridotta soprattutto per la scarsa aderenza al volto oltre alla limitata capacità della mascherina di filtrare particelle molto piccole presenti in aerosol fini.

Mascherine chirurgiche: protezione verso il 2019-nCov

Partendo da tali considerazioni, possiamo concludere che le mascherine chirurgiche offrono una “protezione intermedia” nei confronti del 2019-nCov perché contribuiscono a ridurre, sebbene in maniera parziale, la diffusione di secrezioni respiratorie potenzialmente infette. Il grado di protezione è maggiore per i soggetti che circondano l’indossatore rispetto all’indossatore stesso.  Ad esempio in una situazione in cui un soggetto che indossa la mascherina incontra un soggetto senza mascherina, quest’ultimo può considerarsi paradossalmente più protetto del primo, ma nello stesso tempo mette a grande rischio di contagio l’indossatore della mascherina. Se invece in una situazione analoga si incontrano due soggetti con la mascherina, i due soggetti godranno del medesimo grado di protezione, che aumenta all’aumentare della distanza fisica tra i due soggetti. Dunque il grado di protezione personale contro il nuovo coronavirus conferito dalla mascherina chirurgica è tanto maggiore quanto più aumenta la distanza che manteniamo da altre persone,  quanto più  aderisce la mascherina al nostro volto e soprattutto è legato al senso di responsabilità altrui nell’indossare una mascherina.

Mascherine protettive o facciali filtranti

Le maschere protettive o facciali filtranti sono i dispositivi di protezione individuale DPI più utilizzati per la protezione delle vie aeree. Tali dispositivi soddisfano i requisiti richiesti dalla norma tecnica UNI EN 149:2001+A1:2009 , sono muniti di filtri che proteggono bocca, naso e mento e si suddividono in tre classi in funzione dell’efficienza filtrante: FFP1, FFP2 e FFP3. Le lettere FF sono l’acronimo di “facciale filtrante”, P indica la “protezione dalla polvere”, mentre i numeri 1, 2, 3 individuano il livello crescente di protezione (bassa > 80%, media > 94% e alta > 99%). I filtranti facciali si sono adattati all’uso sanitario, nei reparti di malattie infettive, perché il materiale che li costituisce, ha un’alta capacità di filtraggio dell’aria. Tuttavia in presenza di contaminazioni elevate o di agenti biologici estremamente pericolosi come quelli di gruppo 4 (per es. virus delle febbri emorragiche), potrebbe essere necessario isolare completamente l’operatore dall’ambiente esterno impiegando autorespiratori che forniscono aria diversa da quella dell’ambiente di lavoro.

Facciali filtranti : come sono fatti

I facciali filtranti sono costituiti da una sovrapposizione di strati in TNT, in numero variabile da 4 a 6, che garantiscono un potere filtrante fino al 98%. Gli strati che sono sempre presenti in una mascherina protettiva o facciale filtrante sono:

  1. Strato esterno: costituito in TNT in Polipropilene, permette di isolare esternamente la mascherina da liquidi e particelle di grandi dimensioni; difatti questo strato di solito subisce un trattamento idrofobo per garantirne l’idrorepellenza.
  2. Strato filtrante: costituito da una sovrapposizione da 2 a 4 strati in TNT in Polipropilene realizzato con una tecnologia melt blown, che consente la formazione di un reticolo di fibre ad alta densità con eccezionale capacità filtrante. Solitamente uno degli strati può essere costituito da Carbone attivo in grado di trattenere grazie all’elevata porosità la maggior parte delle sostanze organiche.
  3. Strato filtrante elettrostatico: con una struttura molto compatta raccoglie le particelle di polvere più piccole e cariche da un punto di vista elettrostatico
  4. Strato interno: questo strato è a contatto con il volto e ha la doppia funzione di mantenere la forma della maschera e di proteggere la maschera dall’umidità prodotta con il respiro, tosse o starnuti.

Lo strato filtrante agisce meccanicamente per particelle fino a 10 micron di diametro. Sotto queste dimensioni, l’effetto più importante è quello elettrostatico: la fibre cariche elettrostaticamente attirano e catturano le particelle. Tutte le maschere protettive aderiscono bene al viso e possono essere dotate o meno di valvola di espirazione.

Facciali filtranti: i test e le normative

Le maschere di protezione vengono testate nel senso dell’ispirazione, ossia dall’esterno verso l’esterno. I test a cui sono sottoposte valutano l’efficacia del filtro e la tenuta verso l’interno della mascherina, garantendone la conformità in base alle seguenti normative:

  • Normativa europea EN 149:2001+A1:2009, in base alla quale gli apparecchi monouso di protezione delle vie respiratorie che sono in grado di filtrare le particelle si dividono in tre classi:
  1. FFP1: filtrazione minima dell’80% e penetrazione all’interno non superiore al 22%. Si tratta di dispositivi utilizzati principalmente come maschere antipolvere (bricolage e altri lavori).
  2. FFP2: filtrazione minima del 94% e penetrazione all’interno non superiore all’8%. Sono dispositivi utilizzati principalmente nell’edilizia, nell’agricoltura, nell’industria farmaceutica e dal personale sanitario contro i virus influenzali, l’influenza aviaria, la SARS, la peste polmonare, la tubercolosi e, più recentemente, il COVID-19, impropriamente chiamato “coronavirus”.
  3. FFP3: filtrazione minima del 99% e penetrazione all’interno inferiore al 2%. Le maschere FFP3 sono quelle che offrono la migliore efficacia di filtrazione e proteggono anche contro particelle molto fini, come quelle di amianto.
  • Normativa americana, che rispetta i requisiti stabiliti dal NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) e prevede che le maschere vengano classificate in base al loro grado di resistenza all’olio, rappresentato, a seconda della classe, dalla lettera N, R o P. Il numero che segue queste lettere indica invece la percentuale di filtrazione delle particelle in sospensione. Le maschere di protezione, di conseguenza, possono essere suddivise in:
  1. Classe N: nessuna resistenza all’olio. All’interno di questa classe, si possono distinguere mascherine di tipo N95, N99 e N100.
  2. Classe R: resistenza all’olio non superiore a 8 ore. All’interno di questa classe, si possono distinguere mascherine di tipo R95, R99 e R100.
  3. Classe P: resistenza totale all’olio. All’interno di questa classe, si possono distinguere mascherine di tipo P95, P99 e P100.

Facciali filtranti: utilità e grado di protezione

FFP1: la capacità filtrante dall’esterno verso l’operatore e viceversa è del 72%.
FFP2: la capacità filtrante in entrambe le direzioni è del 92% e le dimensioni dei pori filtranti sono più grandi di quella del virus, ma bloccano le particelle con l’effetto elettrostatico e i virus che non viaggiano sotto forma di areosol, come accade nella maggior parte dei casi. Sono ben tollerate e devono essere cambiate meno di frequente, perché il potere filtrante si mantiene.
FFP3: la  capacità filtrante verso l’interno ed esterno è pari al 98%. Le FFP3 proteggono in modo pressoché totale, perché i pori filtranti sono più piccoli del virus, e i valori sono simili a quelli delle mascherine chirurgiche.

Un discorso diverso va fatto per le mascherine protettive dotate di valvola di espirazione. Esse hanno la caratteristica di consentire una agevole respirazione, ma proteggono chi le indossa e non gli altri, perché l’espirato che esce dalla valvola potrebbe infettare i soggetti che circondano l’indossatore. I facciali filtranti con valvola hanno dunque lo stesso grado di protezione delle normali FFP1,2,3 verso chi le indossa quindi verso l’interno, mentre in uscita filtrano non più del 20%, quindi non dovrebbero essere usate nel corso di una pandemia, perché contribuirebbero alla diffusione del virus. È indicato nel caso in cui la si voglia utilizzare, di indossare sopra la FFP con valvola un’ulteriore mascherina chirurgica.

Riutilizzabilità delle mascherine

Le mascherine chirurgiche sono dispositivi monouso e non esistono metodi scientificamente provati per garantirne la disinfezione senza danneggiarne il materiale. La cosa più corretta da fare, quindi, è quella di smaltire immediatamente nella spazzatura la mascherina dopo l’uso, togliendola dagli elastici ed avendo cura di non toccare la parte esterna della mascherina potenzialmente infetta. Tuttavia, vista la difficile attuale reperibilità, in assenza di una nuova mascherina, è consigliabile lasciarla all’aria aperta per almeno 12 ore prima di riutilizzarla, stando sempre attenti a maneggiarla dagli elastici, o ancora meglio sarebbe lasciarla all’aria aperta per 4 giorni  per avere la certezza che ogni traccia di virus si sia spenta. Occorre però precisare che l’efficacia della mascherina sarà in ogni caso ridotta, quindi diventa ancora più  importante mantenere la distanza di sicurezza.

Per quanto riguarda le mascherine protettive o facciali filtranti, la loro riutilizzabilità è ufficialmente descritta dall’azienda produttrice: accanto al nome della mascherina (es FFP2, FFP3) comparirà la sigla NR se la mascherina non è riutilizzabile, la sigla R se invece è riutilizzabile. Sempre a causa della difficoltà di reperire tali mascherine protettive, in assenza di nuovi filtranti facciali, quali metodi si possono utilizzare per garantirne una pratica disinfezione al fine di riutilizzarle? Benché non vi sia una certezza scientifica dell’efficacia di disinfezione,  i trattamenti possibili di rigenerazione sono tre: 1) esposizione ad alta temperatura (superiore a 60°) in ambiente umido (come indicato dall’istituto statunitense NIOSH per il 2019-nCov); 2) esposizioni ai raggi ultravioletti; 3) trattamento con soluzioni idroalcoliche al 60/70%. Quest’ultimo è il trattamento più promettente in termini di penetrazione di tutti gli strati della maschera e mantenimento delle proprietà meccaniche, inclusa la forma.

Dunque nella pratica casalinga, se si vuole riutilizzare questi tipi di mascherine, è possibile adottare come metodi di sterilizzazione un disinfettante spray, il vapore del ferro da stiro, oppure lampade UV.

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Published by
Cristiana Rizzuto