Ingegneria cellulare e tissutale

Mastoplastica additiva: l’intervento più richiesto in chirurgia estetica

La mastoplastica additiva oggi è uno degli interventi maggiormente richiesti in chirurgia estetica. Secondo i nuovi dati rilasciati dalla American Society of Plastic Surgeons (ASPS) nel 2018, nella top-five degli oltre 1,8 milioni di interventi di chirurgia estetica eseguiti negli USA, al primo posto si colloca l’aumento del seno con 313.735 procedure, in aumento del 4% rispetto al 2017. Anche in Italia la mastoplastica additiva ha confermato nell’anno passato un trend  in forte crescita, riclassificandosi come intervento maggiormente eseguito tra le procedure di chirurgia estetica. Tale successo è una realtà costante da molti anni, e trae origine dalle tante innovazioni nelle procedure chirurgiche  e nelle tecnologie, che sono diventate sempre più efficaci ed affidabili, con livelli elevatissimi di sicurezza e risultati naturali.

 

Mastoplastica additiva: cos’è e quando viene eseguita

Per mastoplastica additiva si intende un’operazione chirurgica che comporta un aumento del volume del seno, quindi della consistenza delle mammelle, attraverso l’introduzione di idonei dispositivi protesici, collocati a seconda dei casi sotto la ghiandola mammaria oppure più in profondità, sotto il muscolo pettorale. L’intervento di mastoplastica additiva viene solitamente eseguito per conferire un miglioramento della forma e del volume di mammelle che non si sono mai sviluppate in modo completo o che appaiono svuotate e cadenti a seguito di allattamenti o di cali ponderali. In altri casi l’intervento può essere eseguito per correggere eventuali asimmetrie delle mammelle. Le protesi possono essere inserite a livello sottoghiandolare, quando lo spessore dei tessuti garantisce un’adeguata copertura della stessa, ma in soggetti magri o con ghiandole poco rappresentate  è preferibile  inserire le protesi sotto il muscolo pettorale, al fine di garantire un risultato ottimale.

L’intervento: durata, modalità e decorso post operatorio

La durata dell’intervento, che di solito avviene in anestesia generale, può variare da una a tre ore, a seconda che si proceda al semplice inserimento delle protesi o ad un rimodellamento più complesso del seno.

La sede delle incisioni varia in base alle caratteristiche anatomiche della paziente e alle sue preferenze. L’incisione può essere effettuata a livello del solco sottomammario, in corrispondenza dell’areola o nell’area dell’ascella. Attraverso l’incisione cutanea il chirurgo allestisce una “tasca” per alloggiare la protesi , a livello sottoghiandolare, sottomuscolare, o con una tecnica intermedia chiamata dual plane.

Terminata questa fase avviene la sutura cutanea, eseguita con la massima precisione e con particolari accorgimenti, al fine di rendere quasi invisibili le cicatrici. In alcuni casi possono essere posizionati dei drenaggi, sempre al fine di ottimizzare la guarigione, che non causano fastidio e vengono rimossi 12-48 ore dopo l’intervento.

Per quando riguarda il decorso post-operatorio, per i primi 3-4 giorni successivi all’intervento è raccomandato il riposo, con particolare attenzione a non utilizzare i muscoli pettorali; inoltre per la prima settimana dovrà essere evitata la guida di veicoli e fino alla settimana successiva dovranno essere evitati ampi movimenti con le braccia, il sollevamento di pesi e qualsiasi attività strenua. Dopo la rimozione dei punti la paziente può riprendere le normali attività sociali e lavorative, anche se per circa un mese è meglio evitare l’attività sportiva.

 

Evoluzione delle protesi mammarie dal 1895 ad oggi

Dal 1895, anno in cui venne eseguita la prima mastoplastica additiva ad opera del medico tedesco Vincenz Czerny, il quale trasferì un lipoma dal fianco di una paziente alla regione mammaria, per correggere un difetto causato dall’asportazione di un fibroadenoma, è stata utilizzata e sperimentata da diversi chirurghi una vasta gamma di materiali per aumentare le dimensioni del seno.

Percorrendo la linea dell’evoluzione dei dispositivi protesici mammari dal 1895 ad oggi, incontriamo materiali come l’avorio, il vetro, la gomma, la cartilagine, la lana, la spugna e la paraffina, che vennero impiantati con risultati disastrosi, sia perché davano alla mammella un aspetto deformato e innaturale, sia per l’altissimo rischio di rigetto e di necrosi.  Successivamente si passò alla sperimentazione di altre sostanze iniettabili, come la gelatina di petrolio, la cera, la resina, lo stucco, l’olio di silicone, il poliuretano, il nylon, il polipropilene e il teflon, che causarono risultati  altrettanto scoraggianti a causa dell’alta percentuale di complicanze: dolore, edema, ulcerazioni, calcificazioni, granulomi, migrazione del fluido iniettato. La vera svolta si ebbe nel 1963 quando Franck Gerow, chirurgo del Jefferson Davis Hospital di Houston, e il collega Thomas Cronin ebbero l’intuizione di utilizzare un involucro di silicone riempito con gel di silicone, precursore delle moderne protesi in gel di silicone, che sono tutt’oggi le più utilizzate, nonostante esistano anche altri materiali di riempimento, come la soluzione salina.

Attualmente, più di 3 milioni di donne sono portatrici di protesi in gel di silicone, in termini di interventi ciò si traduce nel 90% circa del totale di quelli finora eseguiti. Grazie ad un’esperienza clinica di oltre 30 anni, si può affermare che le protesi in gel di silicone vantano ottimi risultati clinici a distanza, sia per quanto concerne i risultati estetici, sia in relazione alle possibili complicanze o effetti indesiderati. Per quanto riguarda le altre tipologie, gli svantaggi sono senz’altro maggiori. Ad esempio le protesi contenenti soluzione fisiologica (acqua e sale) hanno una consistenza meno naturale di quelle  contenenti gel di silicone, possono in alcuni casi provocare un rumore, dovuto ai movimenti del liquido in esse contenuto, e infine hanno la tendenza a perdere liquido (e di conseguenza volume) col passare del tempo, così come le protesi contenenti idrogel (acqua A B e una catena di zuccheri), le meno impiegate in assoluto.

 

Protesi mammarie: forme e dimensioni

Oltre che per il materiale di cui sono costituite, le protesi mammarie possono essere scelte in base alle loro dimensioni, alla forma e alla consistenza del gel di silicone in esse contenuto, che può essere più o meno morbido. Benché si tengano in considerazione le preferenze della paziente, in realtà la scelta della protesi più adatta deve essere effettuata secondo l’esperienza del chirurgo plastico, in considerazione della conformazione fisica della paziente, delle dimensioni della mammella naturale e del torace, in modo da ottenere un equilibrio armonico delle forme.

Ad esempio, una protesi di grandi dimensioni non si adatta al torace sottile di una donna piccola e magra. Per quanto riguarda la forma, esistono protesi rotonde, con base circolare, e protesi “anatomiche” cosiddette “a goccia”. Ciascun tipo di protesi, inoltre, può avere una proiezione, ovvero un profilo, di dimensione variabile,  in grado di conferire alle nuove mammelle una sporgenza più o meno accentuata.

Mastoplastica additiva: rischi e complicanze

Gli impianti mammari sono classificati come dispositivi medicali e prima della loro immissione sul mercato devono superare test di qualità, sicurezza e durata estremamente rigorosi.  Contrariamente a ciò che avveniva fino a una decina di anni fa, oggi le migliori protesi mammarie non necessitano di essere sostituite e alcune aziende offrono addirittura alla paziente una garanzia a vita sugli impianti mammari inseriti.

La presenza delle protesi mammarie oggi non crea alcuna difficoltà nell’esecuzione dei normali screening mammari,  anche se in alcuni casi il medico può ritenere opportuno integrarli con una risonanza magnetica.

La mastoplastica additiva, come ogni intervento chirurgico, può dar luogo a complicazioni generiche, sia anestesiologiche che post chirurgiche, nonché complicazioni specifiche. Fra le complicazioni generali, comuni a qualsiasi intervento, possono esserci  emorragia, ematoma, sieroma, infezione, necrosi cutanea a livello del complesso areola capezzolo, riapertura spontanea della ferita.

Le complicazioni specifiche oggi sono rarissime, e possono comprendere la retrazione della capsula periprotesica (o “contrattura capsulare”), la dislocazione o rotazione della protesi, l’esposizione della protesi, alterazioni della sensibilità della pelle e del capezzolo e infine rottura della protesi.

È importante affidarsi ad un professionista qualificato ed esperto e accertarsi dell’utilizzo di impianti mammari di qualità indiscussa, onde evitare potenziali rischi.

 

Published by
Cristiana Rizzuto