Medicina Rigenerativa: ottenuti primi embrioni umani sintetici
In Australia, un team internazionale di scienziati guidato dalla Monash University di Melbourne ha generato un modello di embrione umano da cellule della pelle. Questa scoperta, appena pubblicata sulla rivista Nature, rappresenta una vera e propria rivoluzione nella ricerca sulle cause dell’aborto spontaneo precoce e dell’infertilità. Si chiamano iBlastoids e, come specificato dal leader del team di ricerca Jose Polo, potrebbero in futuro fornire un ottimo strumento per studiare problemi legati all’infertilità o patologie congenite, senza dover manipolare embrioni reali.
Lo sviluppo embrionale
Quando una cellula sessuale maschile (spermatozoo) si unisce con una cellula sessuale femminile (ovulo) ha luogo quel fenomeno noto come concepimento, che, dopo qualche settimana, porta alla formazione dell’embrione. L’incontro tra l’ovulo e lo spermatozoo avviene generalmente nelle tube di Falloppio, i canali che consentono il passaggio dell’ovulo dall’ovaio all’utero. La formazione dell’embrione (embriogenesi) è un fenomeno molto complesso, che si presenta durante le prime otto settimane dopo la fecondazione.
La prima cellula dell’embrione che si forma è lo zigote, generato dall’unione del DNA dello spermatozoo con quello dell’ovocita. Lo zigote è quindi formato da 46 cromosomi e contiene l’informazione genetica completa. Dopo poco tempo, lo zigote inizia un processo di divisione, attraverso il quale da due cellule passa a quattro, da quattro a otto, fino a raggiungere lo stadio di blastocista. Quando l’embrione passa da otto a sedici settimane, inzia la fase di compattazione: le cellule si schiacciano le une sulle altre, creando una massa compatta. Con il procedere di questa fase, l’embrione si trasforma in morula, una massa cellulare costituita da sedici cellule.
Quando l’embrione è ormai costituito da un centinaio di cellule inizia a formare una cavità, detta blastocele, che si espande progressivamente. Questa passaggio, noto come fase di “cavitazione”, si conclude con la formazione della blastocisti, quando l’embrione è composto da circa 180 cellule. Da qui in poi lo sviluppo embrionale prosegue, creando le giuste condizioni affinchè ogni organo si possa creare in maniera corretta all’interno dell’organismo del bambino.
Lo studio: come si sono ottenuti embrioni umani in laboratorio
Il team di ricerca guidato da Jose Polo è riuscito a generare un modello tridimensionale di una blastocisti, grazie alla tecnica di riprogrammazione cellulare. Questo procedimento permette di ottenere delle cellule pluripotenti, che prendono il nome di pluripotenti indotte (proprio perchè è l’operatore ad indurre questa riprogrammazione), partendo da cellule somatiche. È come se gli scienziati modificassero l’orologio biologico delle cellule, portandole ad uno stadio in cui hanno ancora la possibilità di differenziarsi in quello che vogliono. In questo caso, i ricercatori hanno ottenuto iBlastoid riprogrammando cellule della pelle. Per mimare al meglio quello che avviene a livello fisiologico, gli scienziati hanno interrotto gli esperimenti nei giorni equivalenti al termine della fase di blastocisti.
Questo modello 3D può essere definito a tutti gli effetti organoide, ovvero strutture cellulari che riproducono in miniatura gli organi. Ciò ovviamente non significa che un organoide di cervello, ad esempio, rappresenti tutto il cervello in sè. Sono solo un modello semplificato per studiare reazioni a farmaci o possibili nuove terapie. Lo stesso discorso vale anche per iBlastoid: non è un embrione in sè. È sicuramente la forma più accurata di blastocista, ma è pur sempre ottenuto da cellule della pelle, di conseguenza non può essere utilizzato per generare essere umani. Ad oggi, infatti, solo un vero embrione, ottenuto dall’unione di spermatozoo e ovulo, può farlo.
Nonostante ciò, il potenziale di questa nuova piattaforma tridimensionale è innegabile: iBlastoid può essere utilizzato per studiare specificamente cosa avviene nei primi giorni dopo il concepimento, al fine di analizzare meglio l’infertilità e le malattie congenite.
Fino ad ora, gli embrioni sono stati studiati solo con embrioni di fecondazione in vitro donati, che, come è logico pensare, sono difficili da ottenere e “preziosi”. Uno degli enormi vantaggi di iBlastoid è che possono essere potenzialmente prodotti molte centinaia o migliaia di questi organoidi. Questo non solo permetterà di elucidare alcuni meccanismi che si celano dietro l’infertilità, ma consentirà di realizzare il tutto senza l’utilizzo di blastocisti umane e su una scala senza precedenti, accelerando la nostra comprensione sullo sviluppo di possibili nuove terapie.