ZNF398 è il nome che è stato assegnato al nuovo gene responsabile della conservazione delle cellule staminali pluripotenti. Si tratta di una scoperta tutta italiana, portata avanti dal team guidato da Graziano Martello del dipartimento di Medicina molecolare dell’università di Padova. Un lavoro atteso da tanto tempo, che segna una svolta nell’ambito della medicina rigenerativa e non solo. Ma facciamo un passo indietro.
Si tratta di cellule che hanno la capacità di dare origine a tutte le cellule del nostro corpo, quando sottoposte a determinati stimoli. Per intenderci, da una cellula pluripotente si possono ottenere cellule del cuore, del fegato ma anche quelle del sangue.
Si è soliti pensare che le cellule staminali siano presenti solamente allo stato embrionale. Ebbene non è così, perché anche gli adulti sono provvisti di questo tipo di cellule, che provvedono alla sostituzione, al mantenimento e alla riparazione di diversi tessuti nel corso della vita. Questa capacità del nostro corpo è conosciuta da tempo, basti pensare che già nella mitologia antica veniva descritta la strabiliante abilità del nostro fegato di riparare se stesso. Prometeo, infatti, venne condannato affinché un’aquila divorasse il suo fegato, il quale si rigenerava tanto più rapidamente quanto più velocemente veniva mangiato. Ci sono voluti millenni prima che la biologia cellulare riuscisse a svelare il mistero che stava dietro alla rigenerazione dei tessuti. Ma non si tratta più di mito, dopo diversi anni di ricerche gli scienziati sono riusciti a produrre in laboratorio questo tipo di cellule.
Le iPS, le staminali pluripotenti indotte, vengono derivate partendo dal cellule adulte attraverso un processo chiamato riprogrammazione. Aggiungendo artificialmente un cocktail di quattro geni, chiamati fattori di Yamanaka, è possibile far “ringiovanire” le cellule in laboratorio. Sembra quasi magia, eppure è realtà. Questa scoperta ha permesso nel corso degli ultimi anni di studiare, trattare e potenzialmente curare alcune malattie. Grazie a queste nuove conoscenze, è stato possibile fare studi di biologia dello sviluppo e soprattutto capire quali sono i meccanismi dietro alle malattie genetiche, consentendo studi paziente-specifici.
Ma perché non sono ancora utilizzate nell’uomo? Il loro impiego è limitato ancora al laboratorio, poiché, la loro differenziazione è difficile da controllare e sono potenzialmente tumorigeniche. Per conservarle vengono generalmente congelate, ma una volta riportate a temperatura ambiente, è fondamentale avere un buon controllo nel processo di differenziamento. Prima di tutto, nel mantenerle allo stato pluripotente. Fino ad ora questo processo si basava su metodologie empiriche: da sempre, infatti, i ricercatori sanno che per conservare le staminali, una volta scongelate, occorre aggiungere una molecola, chiamata TGF-beta, che impedisce alle cellule di differenziarsi. Ora, grazie alla scoperta del team di Padova, sappiamo esattamente su cosa agisce questo fattore inibitore e qual è l’elemento chiave di mantenimento della pluripotenza di queste cellule.
Una volta somministrata, la molecola TGF-beta attiva un particolare gene, ribattezzato ZNF398, che, come dimostrato dal gruppo di ricerca, è responsabile del mantenimento delle cellule staminali pluripotenti. Agisce quindi come una sorta di “conservante” della staminalità. Sarà quindi più facile riuscire a lavorare con queste cellule, cercando di avere un maggiore controllo non solo sulla differenziazione ma anche sulla loro riprogrammazione. Infatti, nello studio di una particolare malattia in cui questo tipo di cellule è coinvolto, è essenziale che il gene ZNF398 venga attivato per una corretta riprogrammazione.
Una scoperta che dà una spinta notevole alla medicina rigenerativa, rendendo più semplice lavorare in sicurezza con questo tipo di cellule. Ma non sarà limitato a questo settore: questo rappresenta un passo importante per tutti i laboratori che utilizzano staminali per scopi terapeutici e per tutti quegli studi che mirano alla comprensione di malattie genetiche.
[bquote by=”Graziano Martello” other=”capo del dipartimento di Medicina Molecolare presso l’Università di Padova.”]Il nostro studio non servirà a una specifica malattia, ma avrà un impatto su tutte le patologie che oggi vengono studiate grazie alle cellule staminali pluripotenti[/bquote]