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Memoria e cannabis: uno studio su oltre 1.000 giovani adulti mostra effetti preoccupanti

Cannabis e memoria

Gli effetti della cannabis sulla mente (Canva/Depositphotos foto) - www.biomedicalcue.it

L’approfondimento condotto su più di un migliaio di campioni svela il significative impatto dell’utilizzo di cannabinoidi su determinate funzioni cerebrali 

Sono diverse le Nazioni in tutto il mondo che hanno deciso di depenalizzare la cannabis, che sia per scopi ricreativi o puramente terapeutici. Gli esperti non placano, tuttavia, i propri interrogativi in merito agli effetti che l’assunzione di tale sostanza possa comportare sotto il punto di vista fisico e mentale del consumatore, soprattutto nel caso in cui vi si ricorra eccessivamente.

E’ possibile, ad esempio, che la cannabis possa causare una compromissione permanente della memoria di lavoro? Cominciamo col dire che la memoria di lavoro permette all’uomo di mantenere in modo attivo le informazioni che subentrano durante lo svolgimento di compiti complessi, influendo in modo determinante come freno sul nostro comportamento, oltre che sulla capacità di prendere una determinata decisione.

Per rispondere con chiarezza al quesito, si è reso necessario procedere attraverso un’analisi approfondita che ha riguardato oltre 1.000 giovani adulti, in merito alla cui condizione cerebrale sono stati effettuati sondaggi e scansioni, per poter ottenere un quadro che risultasse il più completo possibile.

Mai prima d’ora era stato realizzato uno studio dalle dimensioni così ampie sull’argomento, che già secondo le previsioni iniziali avrebbe potuto concedere un’occasione praticamente irripetibile di valutare opportunamente l’impatto che l’assunzione della cannabis è in grado di imprimere sul lavoro quotidiano del nostro sistema nervoso centrale.

Cosa è stato possibile individuare?

Sebbene sia stato osservato come i meccanismi emozionali e le abilità motorio-linguistiche non abbiano subito particolari alterazioni, il discorso cambia se ci fermiamo ad esaminare l’attivazione cerebrale dei soggetti sottoposti al test. I risultati hanno evidenziato come l’uso ravvicinato rispetto al momento dell’esame o prolungato nel tempo della sostanza sopraindicata, sia direttamente correlabile ad un’incapacità di attivare a pieno regime le proprie abilità cerebrali durante la risoluzione di un compito di memoria di lavoro.

Nello specifico, ad essere state interessate da un’attivazione inferiore rispetto ai soggetti che non sono abituali nell’utilizzo di tali sostanze sono la Corteccia prefrontale dorsolaterale, la Corteccia prefrontale dorsomediale e l’Insula anteriore, determinanti nello svolgimento di funzioni quali l’attenzione e l’elaborazione delle emozioni. Quanto riscontrato al termine dello studio, come precisa anche il neurologo Joshua Gowin dell’Università del Colorado Anschutz Medical Campus, deve essere considerato con l’opportuna importanza, considerato che per i rilevamenti sono stati utilizzati i più alti standard possibili, impiegando anche la correzione per il tasso di scoperta falsa, al fine di ridurre significativamente il rischio di risultati alterati o fasulli.

Cannabis
Cannabis in barattolo (Vecteezy foto) – www.biomedcue.it

Alcuni quesiti restano difficili da risolvere

Le regioni prevalentemente interessate dagli effetti della cannabis, tra l’altro, presentano sostanziose densità di recettori CB1, prevalentemente bersagliati proprio dal THC (tetraidrocannabinolo), composto psicoattivo della sostanza. I risultati, tuttavia, non possono rilevarsi sufficienti a risolvere un quadro decisamente più complesso; alla possibilità di alterazione relativamente a determinate aree cerebrali, si contrappone una miglioria nello svolgimento dei compiti di memoria di lavoro a fronte di una riduzione immediatamente precedente del consumo.

La chiave fondamentale, come sottolinea anche Gowin, è la consapevolezza che le persone devono possedere in merito al consumo della cannabis, oltre che la necessità di stabilire un equilibrio; la brusca astinenza per i soggetti che ne fanno abitualmente uso potrebbe generare nient’altro che disagi ulteriori nella cognizione degli stessi soggetti. E se da una parte lo studio garantisce una comprensione maggiorata riguardo gli effetti scaturiti da un consumo prolungato di cannabinoidi su alcuni settori cerebrali, i meccanismi che si celano dietro a tale correlazione appaiono agli studiosi come un grande punto interrogativo, non escludendo la possibilità di entrata in gioco di ulteriori fattori, quali le condizioni generali di salute e l’età del soggetto.