Un team di scienziati della Stanford University ha costruito per la prima volta un modello di microbioma sintetico da zero: questo comprende più di 100 diverse specie batteriche. Il risultato è destinato a rivoluzionare le conoscenze sul microbioma umano intestinale offrendo agli scienziati un buon modello di lavoro per gli esperimenti futuri.
Nelle nostre viscere sono presenti trilioni di microbi e una delle scoperte più significative negli ultimi decenni è come questi influenzino la salute in generale. Da come questi batteri modulino il funzionamento dei farmaci assunti a come questi regolino il nostro sistema immunitario, il microbioma intestinale svolge un ruolo fondamentale in tutti gli aspetti della salute umana. Il funzionamento del microbioma umano è di difficile comprensione, infatti non è possibile trovare individui che condividano esattamente la stessa composizione del microbioma. I ricercatori si sono sempre focalizzati sulle modalità in cui i batteri influenzano i processi metabolici, spesso però senza tradurre questi risultati in terapie cliniche reali.
La base dello studio è la consapevolezza da parte del mondo scientifico che: c’è la necessità di un modello oggettivo del microbioma intestinale umano in modo tale che si possa comprendere al meglio quali particolari interventi portano a benefici concreti per la salute degli individui. Dopo aver coltivato individualmente ogni specie batterica e, in seguito, averle mescolate tutte insieme, i ricercatori hanno introdotto hCom1 nei topi privi di germi; questi sono animali sviluppati per non ospitare microbioma naturale. Incredibilmente, hCom1 risulta un ecosistema microbico stabile quando è trapiantato nei topi. Anche se determinati batteri si sono diffusi più di altri, le 100 specie prese in considerazione hanno trovato un equilibrio stabile e i topi analizzati sono stati trovati normali a livello metabolico.
Successivamente si sono colmate le lacune batteriche che non erano presenti nella composizione microbica originale. Per fare ciò, i ricercatori hanno messo in contatto i topi hCom1 con un campione fecale umano, questo sulla base di una teoria chiamata resistenza alla colonizzazione. I ricercatori hanno ipotizzato che eventuali nicchie batteriche non presenti in hCom1 si sarebbero colmate da questi nuovi invasori. Non tutti i componenti del team pensavano che ciò avrebbe portato a quanto sperato. La sfida, però, ha avuto successo per la maggior parte, la comunità batterica riunita dai ricercatori ha resistito alla battaglia con un microbioma umano.
Si è scoperto che circa 20 nuove specie batteriche hanno colonizzato con successo hCom1 e una piccola manciata di batteri precedentemente presa in analisi è morta. Alla fine dell’esperimento si sono catalogati 119 ceppi batterici, denominando questa seconda generazione di microbioma: hCom2. Questa nuova comunità del microbioma hCom2 funziona in modo efficace come qualsiasi composizione microbica generale nei topi. La colonizzazione da hCom2 sembra immunologicamente normale, ha metaboliti simili derivati dal microbioma ed esercitano una resistenza alla colonizzazione contro l’E. coli. Questi topi, come quelli che sono stati colonizzati con un microbioma naturale, hanno resistito all’infezione.
Ci sono miglioramenti da apportare, ma hCom2 (nella sua forma attuale) è un buon sistema modello del microbioma. Si crede che l’impatto reale di questo lavoro verrà dalla ricerca di altri scienziati, consentendo, per la prima volta, un modello di microbioma coerente. Più avanti, i ricercatori immaginano un futuro in cui i pazienti ricevano trapianti di comunità ingegnerizzate di batteri. Lavora per questo la Stanford Microbiome Therapies Initiative (MITI) di recente fondazione, l’iniziativa ha lo scopo di migliorare i modelli di microbioma citati in questo articolo.