Per la prima volta la plastica arriva nella placenta umana. Il recente studio italiano dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma in collaborazione con l’Università politecnica delle Marche ha identificato delle microplastiche in 4 placente umane delle 6 donne studiate. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Environment International.
Nell’ultimo secolo la produzione annua di plastica ha toccato i 320 milioni di tonnellate. Di queste, 13 milioni finiscono riversate nel mare. Il fenomeno che porta alla produzione di microplastiche è molteplice: agenti atmosferici, azione meccanica delle onde, raggi UV e batteri collaborano alla frammentazione della plastica in particelle sempre più piccole. Non esiste ancora una definizione comune di microplastica, ma stando all’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, si tratta di particelle di dimensioni comprese tra 0.1 µm o 0.5mm. Date le dimensioni così ridotte, è facile intuire come la contaminazione della catena alimentare e della fauna marina non siano solamente un’eventualità.
Le microplastiche presenti nel mare possono essere ingerite dagli animali marini. Infatti, sono state trovate delle tracce nei pesci, molluschi, crostacei e plancton. Dagli studi condotti sui pesci si stima che un 10% delle microplastiche trovate a livello gastroenterico venga assorbito dal sistema linfatico e distribuito a vari organi e tessuti. Non a caso, microparticelle plastiche sono state rilevate anche in polli e bovini alimentati con mangimi di origine ittica. Attraverso la catena alimentare la plastica ingerita dagli organismi marini può arrivare più o meno direttamente sulle nostre tavole. Le microplastiche sono state presto identificate in alimenti e bevande, tra cui miele, birra e acqua di rubinetto. Non è quindi un caso che siano state trovate anche nella placenta.
L’esperimento condotto dai ricercatori dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma e dall’Università politecnica delle Marche fece emergere una nuova sfaccettatura dell’invasione di un prodotto artificiale come la plastica nelle materie organiche. Lo studio è stato approvato dalla Dichiarazione di Helsinki, un documento che regola la sperimentazione umana. Dopodiché, si proseguì con la progettazione di un protocollo plastic-free in modo da proteggere l’organo durante il suo trasporto, evitando così contaminazioni con la plastica presente in laboratorio per non alterare il numero di microplastiche già presenti.
Una volta superato l’iter di approvazione da parte delle istituzioni che governano le sperimentazioni umane, si è passati allo studio vero e proprio delle placente di 6 donne.
In altre parole, quanto emerso con la spettroscopia Raman è la presenza di piccoli frammenti di plastica pigmentati. Non rimaneva che identificare la specie plastica in termini di matrice polimerica e pigmento associato. Questo è reso possibile dal confronto degli spettri ottenuti con la spettroscopia Raman con una libreria di microplastiche preesistenti. Inoltre, si è attribuito a ciascun frammento una formula chimica, nomenclatura IUPAC, nome commerciale e numero di costituzione dell’indice dei colori dei pigmenti in modo da ottenere una classificazione completa.
Questo è il primo studio che ha individuato particelle create dall’uomo nella placenta umana. La presenza di pigmenti nelle microplastiche si spiega con l’ampio impiego di questi composti per colorare prodotti plastici, come vernici e rivestimenti. In totale sono stati identificate 12 microplastiche in 4 placente sulle 6 studiate. Di queste, 5 erano situate nelle porzioni laterali fetali, 4 in quelle materne e 3 nelle membrane corionamniotiche. Per riuscire a classificarle sono state numerate da #1 a #12. Le microplastiche #1-#4, #6, #7 e #9-#12 hanno una dimensione di 10µm mentre le #5 e #8 sono più piccole, intorno ai 5µm. Un’ulteriore differenziazione è tra particelle colorate (#2, #10 e #11 sono composte da propilene) e coloranti (#1, #3-#9 e #12) utilizzate nelle vernici, rivestimenti, ma anche cerotti e cosmetici. Un esempio più specifico è la particella #1: un colorante per plastica e gomma utilizzato anche nella produzione di BB creme e fondotinta.
La scoperta di microplastiche nella placenta ha sconvolto le neomamme coinvolte nello studio. Le dimensioni di 5-10µm sono compatibili con un potenziale trasporto nei vasi sanguigni, ma ancora non è certo come queste abbiamo raggiunto il flusso sanguigno e se derivino dal tratto gastrointestinale o respiratorio. I possibili meccanismi d’ingresso delle microplastiche nei tessuti umani sono riassunti nel disegno sottostante.
Ipoteticamente, si tratterebbe di un meccanismo di endocitosi mediata da cellule M o diffusione paracellulare. Nel riquadro sottostante invece sono rappresentate le vie aeree superiori ed inferiori. A livello delle vie respiratorie superiori il muco è più spesso, consentendo una corretta eliminazione dei corpi estranei e il movimento meccanico dell’epitelio ciliato impedisce alle particelle più piccole di diffondere. Diversamente, nel tratto respiratorio inferiore, lo strato di muco è più sottile facilitando la diffusione di particelle. Le microplastiche una volta penetrate possono diffondersi nella circolazione.
Alla luce di tutto ciò, qual è l’impatto che le microplastiche hanno sulla nostra salute? Potenzialmente, i frammenti di plastica, ma più in generale le microparticelle, possono alterare diverse vie di regolazione nella placenta. L’organo infatti funge da interfaccia tra ambiente fetale e materno, regolando una serie di scambi e producendo ormoni che riversa nel sistema circolatorio della madre. Il fenomeno inaspettato che ha destato grande preoccupazione è il riconoscimento dei frammenti di plastica come parte integrante dell’organismo. E’ emerso come la presenza di piccole entità artificiali possa modificare la risposta del sistema immunitario. Infatti, esso inizia a riconoscere come self anche ciò che non è organico.
Un aspetto cruciale delle microplastiche è che sono trasportatori di sostanze chimiche che, se rilasciate, possono avere effetti tossici. Tuttavia, non è ancora chiaro quali siano le conseguenze legate allo sviluppo dell’embrione e molti altri studi saranno necessari per avere un quadro completo. Essendo le microplastiche presenti in tanti frammenti di diversa composizione chimica, diventa molto complesso creare una casistica universale.
Nel 2017 l’ONU ha dichiarato esserci 51mila miliardi di particelle di microplastica nei mari. E’ un numero imponente, segno di un fenomeno che non può essere più sottovalutato: è necessaria l’attenzione e l’impegno dei singoli cittadini, a partire dalla scelta di materiali riutilizzabili.