In un recente studio sul Morbo di Crohn si è applicato un innovativo approccio terapeutico con buoni risultati. La somministrazione precoce di una terapia avanzata subito dopo la diagnosi sembra migliorare le condizioni dei pazienti, riducendo significativamente il numero di casi che richiedono un intervento chirurgico addominale urgente a causa del peggioramento della patologia. Questa scoperta potrebbe avere implicazioni importanti per il trattamento e la gestione della malattia.
Il Morbo di Crohn rappresenta una patologia infiammatoria cronica del tratto intestinale. Anche nelle sue manifestazioni più lievi, può generare sintomi che impattano significativamente sulla qualità della vita del paziente. I segni più comuni includono dolore addominale, diarrea, perdita di peso e stanchezza. Di solito, si verificano episodi di riacutizzazione dell’infiammazione, durante i quali le condizioni del paziente peggiorano temporaneamente, manifestando sintomi più intensi e causando danni progressivi. Circa un paziente su dieci necessita di un intervento chirurgico addominale d’urgenza entro il primo anno dalla diagnosi per gestire la patologia.
Lo studio PROFILE, condotto dai ricercatori dell’Università di Cambridge, ha coinvolto 386 pazienti di recente diagnosi con Morbo di Crohn sintomatico. L’obiettivo dello studio era valutare se un biomarcatore potesse predire il rischio di recidive nei pazienti. Per questo, sono stati adottati due diversi approcci nel trattamento della malattia. Tuttavia, il biomarcatore non si è rivelato efficace nella selezione dei trattamenti personalizzati per i singoli pazienti. Al contrario, l’implementazione di una strategia “top-down”, che prevedeva l’utilizzo immediato del farmaco infliximab subito dopo la diagnosi, ha mostrato risultati promettenti.
Nel corso dello studio PROFILE, i pazienti sono stati assegnati casualmente a due differenti gruppi di trattamento. Ad ognuno di essi è stata applicata una strategia terapeutica diversa monitorandone lo sviluppo nel corso di un anno. Il primo gruppo è stato sottoposto a un approccio “accelerated step-up”, seguendo la strategia terapeutica convenzionalmente adottata. In questo caso, i pazienti hanno iniziato a ricevere infliximab solo se la loro condizione mostrava progressione e non rispondeva ad altri trattamenti più semplici. Al contrario, nel secondo gruppo è stata applicata una terapia “top-down”, somministrando infliximab il prima possibile dopo la diagnosi, indipendentemente dalla gravità dei sintomi presentati.
L’80% dei pazienti sottoposti a terapia “top-down” ha manifestato un controllo sia dei sintomi che dei marcatori infiammatori nel corso dell’anno, in contrasto con il 15% dei pazienti trattati con l’approccio “step-up”. Dei pazienti con terapia “top-down”, il 67% non presentava ulcere visibili agli esami endoscopici alla conclusione dello studio. Questi risultati differiscono notevolmente dalla percentuale di miglioramento precedentemente osservata (20-30%) in gran parte degli studi clinici precedenti. Oltre a ciò, i pazienti sottoposti all’approccio “top-down” hanno riportato un miglioramento significativo della qualità della vita e una riduzione del numero di ricoveri. Mentre circa un paziente su 20 (5%) con trattamento convenzionale ha subito un intervento chirurgico addominale urgente, al contrario solo uno su 193 (0,5%) con terapia “top-down” ha avuto tale necessità.
Mentre altri farmaci anti-TNF, come l’adalimumab, presentano un meccanismo d’azione simile all’infliximab e sono notevolmente più economici, è necessario condurre ulteriori ricerche per confermare la loro efficacia clinica. Attualmente, i ricercatori stanno esaminando l’aspetto economico per valutare se i benefici della terapia con infliximab giustifichino il suo costo. Questo studio evidenzia in modo significativo l’impatto che un trattamento precoce con terapie avanzate può avere sui pazienti di recente diagnosi.