La lunga battaglia contro il cancro al cervello di Nadia Toffa, nota conduttrice de Le Iene, iniziata nel dicembre del 2017, si è conclusa tragicamente questa mattina alle 7:39, presso la Domus Salutis di Brescia, dove la donna si è spenta all’età di 40 anni. A spazzare via la giovane vita della conduttrice è stato un cancro aggressivo al cervello, una delle più letali tra le forme esistenti, caratterizzata da sistomi invalidanti e difficili da sostenere, raccontati dalla stessa Toffa qualche tempo fa : «cambi di personalità, mal di testa, problemi alla vista e addirittura allucinazioni sensoriali».
Nonostante il progresso scientifico e tecnologico nell’ultimo decennio abbia consentito notevoli passi avanti nel trattamento di diverse forme di cancro, incrementando l’aspettativa di vita dei pazienti affetti, ad oggi vi sono ancora casi particolarmente aggressivi davanti ai quali la medicina non ha strumenti sufficientemente efficaci. A proposito del caso Toffa, è stata interpellata Stefania Gori, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), la più importante e rappresentativa Società scientifica dell’oncologia italiana, che raggruppa oltre il 95% dei medici che si occupano di questa disciplina.
“Nadia Toffa ha avuto un tipo di tumore per il quale la ricerca sta lavorando molto a livello internazionale, ma anche in Italia. Su alcune forme tumorali dobbiamo acquisire ancora maggiori conoscenze – ammette l’oncologa – ma anche per queste la ricerca sta avendo notevoli progressi. In generale la ricerca oncologica ha fatto molti passi avanti, il 60% dei pazienti con una diagnosi di tumore ha una sopravvivenza di 5 anni, e per il carcinoma alla mammella e alla prostata la percentuale di sopravvivenza sfiora il 90%. Il cammino è ancora lungo ma oggi, proprio grazie alla ricerca, si comincia a parlare di guarigione,un concetto che fino a due anni fa non si prendeva in considerazione. C’è un esercito di persone che hanno avuto un tumore e che oggi sono vive in Italia e sono oltre 3 milioni e 400mila. Ma quand’è che ci si può considerare guariti? Una certa quota di pazienti può essere considerata guarita perché ha raggiunto, dopo un numero di anni dalla diagnosi che è diverso a seconda della neoplasia dalle quale era affetto, la stessa aspettativa di vita di una persona della stessa età e dello stesso sesso che non ha mai avuto un tumore”
In base alla localizzazione e alle dimensioni della massa tumorale, il cancro cerebrale può manifestarsi in diversi modi. Poiché ogni zona è responsabile di una funzione specifica, sarà quella stessa funzione a essere più o meno compromessa, con una grande varietà di sintomi, tra cui:
Per diagnosticare un tumore al cervello innanzitutto si parte con un esame neurologico attraverso il quale il medico valuta il corretto funzionamento di vista, udito, equilibrio, coordinazione e riflessi del paziente. La perdita parziale o totale di una di queste capacità può già fornire delle informazioni valide relative all’area dell’encefalo colpita.
Si procede con esami strumentali per capire la sede precisa del tumore e da cosa può essere originato: la risonanza magnetica nucleare (RMN) è l’esame d’elezione, ma ricoprono un ruolo diagnostico altrettanto importante la tomografia computerizzata (TAC) e la tomografia a emissione di positroni (PET). L’analisi strumentale fornisce informazioni anche su un eventuale stato di metastasi e aiuta a pianificare correttamente la terapia.
Infine, tramite una biopsia cerebrale, si determina la natura, maligna o benigna, della neoplasia. La biopsia cerebrale si svolge dopo aver individuato la zona colpita dal tumore; l’esame consiste nel prelievo di una piccola porzione di massa neoplastica e nella sua osservazione al microscopio.
Per quanto riguarda il trattamento del tumore cerebrale, l’intervento chirurgico è il metodo di cura attualmente più diffuso. Oltre a diminuire la pressione intracranica esercitata dal tumore, la neurochirurgia ne consente l’analisi istologica, indispensabile per pianificare una terapia efficace e mirata. Il progresso della bioingegneria e della strumentazione biomedica oggi consente di eseguire gli interventi con cyberknife, un‘apparecchiatura radiochirurgica non invasiva destinata all’ablazione tumorale. Si tratta di un sistema costituito da un acceleratore lineare miniaturizzato montato su un braccio mobile robotizzato, che durante l’intervento radiochirurgico localizza con estrema precisione la sede del tumore, orienta il fascio di radiazioni del bisturi cybernetico sul letto operatorio, corregge in tempo reale la sua posizione in relazione ai movimenti del paziente o del tumore durante la seduta di radiochirurgia, riduce in maniera significativa l’irradiazione dei tessuti sani adiacenti al tumore, prerogativa per una maggiore guarigione, di una minore tossicità e di una migliore qualità della vita del paziente. Gli interventi stereotassici a scatola cranica chiusa sono effettuabili solo se il tumore è di dimensioni medio-piccole e se il numero di lesioni è limitato (in genere massimo tre).
A completare l’intervento chirurgico, nella maggior parte dei casi, è la radioterapia,trattamento finalizzato a ridurre il rischio di recidiva. La radioterapia consiste nel sottoporre il paziente a diversi cicli di radiazioni ionizzanti, allo scopo di distruggere le cellule del tumore, e può essere utilizzata da sola o in associazione alla chemioterapia. Per diversi anni si è discusso sulla reale utilità della chemioterapia nei tumori cerebrali, per la difficoltà che incontrano i farmaci ad attraversare la barriera emato-encefalica. La ricerca ha fatto grandi passi avanti in questo settore, aggiungendo nuove molecole come la temozolomide e nuovi assortimenti di farmaci già in uso.