La celiachia è una una patologia permanente dovuta ad una reazione autoimmune al glutine, un complesso proteico presente in alcuni cereali. Nei soggetti affetti da celiachia, il glutine scatena una risposta immunitaria nell’intestino tenue che innesca la comparsa di diversi sintomi che possono variare in quanto a gravità. Ora, i ricercatori della Northwestern Medicine hanno trovato una cura che potrebbe permettere alle persone celiache di ingerire glutine per 2 settimane senza risentirne .
Si tratta di una nanoparticella biodegradabile contenente glutine che viene iniettata nel sangue dei pazienti in modo che questi possano riconoscere la proteina come una sostanza innocua ed evitare, in questo modo, che si manifesti una reazione.
La celiachia è una delle malattie croniche legate all’alimentazione più diffuse a livello globale e può comparire a qualsiasi età. Attualmente si stima che la celiachia interessi circa l’1% della popolazione generale e che sia più frequente tra le donne (3 volte più che negli uomini).
La celiachia è una malattia multifattoriale. Il suo sviluppo è principalmente dovuto a fattori ambientali, ovvero una dieta con cereali contenenti glutine e fattori genetici, ovvero la presenza di specifiche sequenze nei geni che definiscono la struttura con cui le nostre cellule immunitarie riconoscono i diversi elementi che vengono a contatto con esse.
I sintomi con cui la malattia si presenta possono essere molto vari, a carico di diversi organi e con differente gravità. A lungo andare, la reazione autoimmune scatenata dal glutine nei soggetti celiaci produce un’infiammazione che danneggia il rivestimento dell’intestino tenue e impedisce l’assorbimento di alcuni nutrienti.
Le cellule del sistema immunitario, innescate dal contatto con il glutine, attaccano infatti la mucosa dell’intestino tenue distruggendo i villi, piccole protuberanze responsabili dell’assorbimento dei vari nutrienti e minerali.
La nanoparticella presentata dalla Northwestern Medicine si comporta come un “cavallo di Troia”: nascondendo l’allergene in un “guscio amico”, per convincere il sistema immunitario a non attaccarlo. Una volta iniettato nel sangue, il nanodispositivo viene infatti captato da cellule immunitarie, i macrofagi, che lo fagocitano e avvertono altre cellule immunitarie della sua innocuità, in modo da prevenire la reazione al glutine.
La sperimentazione condotta dai ricercatori ha dimostrato che, in seguito al trattamento con la loro tecnologia, i pazienti sono stati in grado di mangiare glutine con una sostanziale riduzione dell’infiammazione. I risultati mostrano anche una tendenza alla protezione dell’intestino tenue dei pazienti dall’esposizione al glutine.
È uno studio del tutto innovativo, una specie di desensibilizzazione al glutine, simile all’approccio in uso oggi con alcune allergie. È chiaro che questo è uno studio pilota che andrà ulteriormente verificato su più pazienti e per una durata maggiore del follow up (14 giorni sono pochi) bisognerà vedere se l’approccio potrà funzionare nella pratica clinica, ma di certo si tratta di metodo innovativo, e rappresenta senz’altro un modo alternativo alla modalità attuale di trattamento che è la dieta priva di glutine.
Afferma Giovanni Cammarota, associato di Gastroenterologia del Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia della Fondazione Policlinico A Gemelli IRCCS, Università Cattolica di Roma.
Il trattamento è stato già posto al vaglio della FDA statunitense. Un sistema di questo genere potrebbe essere inoltre la nuova soluzione per trattare una serie di altre malattie e allergie tra cui la sclerosi multipla, il diabete di tipo 1, l’allergia alle arachidi, l’asma e altro ancora.