Il campo conosciuto come “origami di DNA” in onore della tradizionale arte giapponese di piegare un foglio di carta senza mai tagliarlo creando figure complesse, sta rapidamente diffondendosi verso applicazioni pratiche. E’ quanto sostiene Hendrik Dietz ricercatore al Politecnico di Monaco di Baviera che, all’inizio di questo mese, ha ricevuto il più importante premio nel campo della ricerca della Germania: il Gottfried Wilhelm Leibniz, per il suo ruolo in questo progresso.
Il gruppo di ricerca ha però dato una svolta alla tecnica, riuscendo a produrre nanodispositivi fatti di DNA autoassemblanti dotati di una flessibilità costruttiva e operativa di cui erano finora sprovviste le macchine create con la tecnica tradizionale. Lo studio è stato pubblicato su Science.
L’origami a DNA è una tecnica che sfrutta il naturale ripiegamento della molecole in precise forme. E questi componenti, un po’ come i mattoncini del Lego, possono essere indotti all’auto-assemblaggio a formare strutture predefinite sfruttando la capacità delle basi nucleotidiche del DNA a legarsi con le loro basi complementari.
Il team di Dietz, invece, si è ispirato alla natura copiando il meccanismo basato sulla complementarietà delle forme tridimensionali che permette a molte proteine e molecole di formare legami chimici relativamente deboli che possono essere interrotti quando non sono più necessari. La limitazione della precedente tecnica, infatti, era proprio dovuta al fatto che i legami tra le basi risultavano troppo forti e, quindi, difficili da spezzare.
Sono stati così in grado di produrre dispositivi di DNA: da filamenti micrometrici (che imitano flagelli batterici) da montare come propulsori su nanomacchine a nanorobot umanoidi a cui è possibile far muovere le braccia con un sistema di controllo che prevede l’immissione di ioni positivi nel liquido in cui è immerso il robot.
Inoltre, il team di ricerca è riuscito a creare attuatori a forbice che sfruttano le variazioni di temperatura per aprirsi e chiudersi lavorando ininterrottamente per quattro giorni senza rilevare segni di degradazione.
Come ha affermato il coordinatore della ricerca:
Abbiamo trovato un modo pratico non solo per costruire nanomacchine, ma anche per fornire loro la necessaria alimentazione.
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