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La nascita della risonanza magnetica nucleare (RMN)

La risonanza magnetica nucleare (RMN) è un esame diagnostico innocuo per il corpo umano e trova sviluppo in molte applicazioni. Ma da chi è stata scoperta e come funziona?

Close-up Engineering

AUTORE: Redazione

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PUBBLICATO IL: 26 Giugno 2023

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Tra gennaio e febbraio del 1946 sulla rivista scientifica “Physical Review” furono pubblicati due articoli firmati da Felix Bloch di Stanford e da Edward Purcell di Harvard, che sembravano interessare esclusivamente i fisici teorici, ma che diedero origine ad una tecnica che rivoluzionò i campi della chimica e della medicina.

Gli atomi di idrogeno come elemento chiave per la RMN

Sia Bloch che Purcell intendevano misurare l’intensità dei piccoli campi magnetici creati da atomi di idrogeno. Per raggiungere questo obiettivo, pensarono di situare fra i poli di un grande magnete un campione di un composto contenente idrogeno e scoprirono che i poli dei piccoli “magneti” costituiti dagli atomi di idrogeno tendevano ad essere attratti dai poli opposti del magnete esterno.Cosa ancora più interessante, notarono che era possibile forzare i piccoli magneti di idrogeno ad assumere un orientamento meno desiderabile, applicando energia nella forma di onde radio.

Altri scienziati ben presto ripresero ed estesero i risultati di Bloch e Purcell, osservando che gli atomi di idrogeno di un campione non assorbivano tutti esattamente la medesima quantità di energia. Dal momento che la quantità di energia assorbita dipendeva dal particolare ambiente chimico degli atomi di idrogeno, gli scienziati grazie a questa informazione furono in grado di discernere la struttura molecolare di numerosi composti ignoti.

Bloch e Purcell e la nuova tecnica

Nel giro di pochi anni in tutto il mondo iniziò ad essere utilizzata la nuova tecnica della risonanza magnetica nucleare (RMN), tecnica che nel 1952 fruttò a Bloch e Purcell il Nobel per la chimica in riconoscimento delle loro ricerche pionieristiche. All’inizio degli anni Settanta, alcuni scienziati che lavoravano all’involucro delle macchine per la RMN, stanchi di collocare tubi campione in un campo magnetico, ebbero un’idea geniale e pensarono che era giunto il momento di sperimentare con tessuti viventi. Decisero, allora, di mettere un topo vivo fra i poli di una grande magnete.

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Del tutto indolore per il roditore, il procedimento si rivelò estremamente importante per i ricercatori.I nuclei degli atomi di idrogeno contenuti nelle varie molecole che componevano il corpo del topo si allineavano col campo esterno, come gli scienziati si aspettavano che avvenisse, e quei nuclei potevano essere perturbati (rimossi dall’allineamento) per mezzo di onde radio di bassa energia. Inoltre, quando si disattivava la sorgente di energia, i nuclei liberavano l’energia assorbita. Alcuni nuclei la liberavano velocemente, altri più lentamente.

E cosa incredibile, il tempo impiegato dai vari nuclei per “rilassarsi” (questo il termine tecnico) era legato allo stato di salute del tessuto in cui si trovavano. In breve tempo gli scienziati avevano progettato uno strumento connesso ad un computer, in grado di produrre immagini di sezioni di parti del corpo, e verso la fine degli anni Settanta avevano costruito uno strumento capace di produrre immagini dell’intero corpo umano.

Come funziona la RMN

Era nata la risonanza magnetica nucleare, una tecnica di indagine medica straordinaria, non invasiva, che non utilizzava alcuna radiazione pericolosa e che prometteva tanto come strumento per diagnosticare condizioni che andavano da cancro e problemi delle articolazioni a lesioni della colonna vertebrale e ictus. La RMN utilizza onde elettromagnetiche di una certa gamma di frequenze (nello spettro delle onde radio) che penetrano nel corpo e agiscono sui protoni dei nuclei atomici. I protoni in questione vengono prima fatti allineare da un forte campo magnetico (tecnicamente si parla di spin), poi sono perturbati (inversione dello spin) dalle onde e, infine, vengono lasciati liberi di riallinearsi.

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L’intero processo viene registrato con particolari strumenti, poi un sofisticato software trasforma i dati in immagini. La procedura è del tutto innocua, perché il campo magnetico e le onde radio non hanno alcun effetto sul nostro organismo.La RMN ha dimostrato che la maggior parte di noi utilizza più del 90% del suo cervello, anche se non necessariamente tutte le parti nello stesso tempo; smentendo, in tal modo, l’affermazione secondo cui noi usiamo soltanto il 10% del nostro cervello. Ma non è escluso che ci siano davvero persone che usano solo il 10% del loro cervello: quelle che credono in questo mito.

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