Medicina

Spazio peripersonale: uno studio sulle capacità percettive nei neonati

Recenti studi hanno dimostrato come i neonati abbiamo la capacità di percepire il loro corpo come un’entità separata dal mondo già a poche ore dalla nascita. Cosa significa? Questo concetto è alla base delle interazioni con l’ambiente esterno e delle relazioni sociali, quindi del modo di abitare il mondo che ci circonda. Significa saper distinguere un rumore vicino da quello più lontano, sapersi orientare nello spazio-tempo e difendersi quando necessario. Tutto questo è possibile grazie a un meccanismo del nostro cervello che integra i diversi stimoli nelle vicinanze del nostro corpo, generando una risposta adeguata, un particolare gesto piuttosto che un altro. Questi “confini” definiscono lo spazio peripersonale, il campo d’azione dei nostri movimenti. Ma con lo spazio peripersonale ci si nasce o lo si acquisisce con il tempo e l’esperienza? La domanda che ha pervaso per anni le ricerche degli scienziati sembra avere trovato una risposta: i neonati, infatti, lo percepiscono.

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La scoperta dello spazio peripersonale nei neonati

Diamo qualche particolare in più sulla definizione di spazio peripersonale, o SPP. Abbiamo capito di essere circondati da una sorta di “bolla” all’interno della quale percepiamo degli stimoli dall’ambiente di diversa natura sensoriale. Ad esempio, solamente l’oggetto “tazza” che si trova nella bolla suggerirà il movimento “presa”. Si tratta di un meccanismo di interazione tra il segmento corporeo deputato all’atto, in questo caso il braccio, e l’oggetto bersaglio dell’azione, la tazza.

La raccolta di informazioni dai diversi distretti sensoriali è detta integrazione multisensoriale, grazie alla quale possiamo localizzare e riconoscere uno stimolo e agire di conseguenza. Sapere che nei neonati è già presente la facoltà di distinguere, conoscere e orientare l’attenzione verso stimoli diversi è fondamentale per guidare il loro sviluppo correttamente e accreditarne le competenze. Una volta si pensava che i bambini appena nati fossero entità sconnesse dal mondo e non riuscissero a capire cosa avvenisse nell’ambiente circostante. Oggi sappiamo che non è così.

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Lo studio dell’università di Padova sullo spazio peripersonale

Nello studio Identifying peripersonal space boundaries in newborns pubblicato nel 2019 su Scientific Reports un gruppo di ricercatori ha dimostrato la percezione dello spazio peripersonale nei neonati. Il team di scienziati dell’Università di Padova, dell’Unità Pediatrica dell’Ospedale di Monfalcone (GO) e dell’Università di Birmingham ha analizzato la modulazione dell’attenzione di 40 neonati in risposta a stimoli diversi. In particolare, sono stati sottoposti a dei suoni a diversa distanza accompagnati da tocchi di pennello sulla fronte. Infatti, i confini dello SPP sono definiti da meccanismi cognitivi che sono in grado di integrare le informazioni multisensoriali provenienti dall’ambiente con sensazioni tattili percepite sul corpo.


Nell’esperimento è stato quindi misurato il lasso di tempo tra il suono (con pennello) e l’orientamento visivo del bambino, seguendone il percorso. In questo modo è possibile capire dove sta guardando il neonato e in quanto tempo reagisce a seconda della vicinanza del suono. Più il suono è vicino al corpo, più rapidi sono i tempi di risposta visiva. Secondo i ricercatori questo spazio vicino al corpo rappresenta i confini primordiali dello spazio peripersonale. La competenza precoce potrebbe quindi svilupparsi già poche ore dopo la nascita o addirittura durante la gravidanza, probabilmente dovuta alla percezione di suoni accompagnati da stimoli tattili nel lungo periodo di gestazione.

Una seconda evidenza scientifica della percezione dello spazio nei neonati

Questa ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) è stata realizzata dal Manibus Lab del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino e dalla Neonatologia universitaria dell’ospedale Sant’Anna della Città della Salute, in collaborazione con il MySpace Lab del Department of Clinical Neurosciences dell’Università di Losanna ed il Center for Neural Science della New York Univeristy. Nel caso riportato sono stati presi in considerazione 25 neonati tra le 18 e le 92 ore di vita e 25 adulti, rappresentanti il gruppo di controllo, per avere un confronto diretto dell’integrazione multisensoriale. I protagonisti dello studio sono stati sottoposti ad elettroencefalografia (EEG) per registrare l’attività elettrica del cervello in risposta a stimolazione tattile accompagnata da suoni vicini e lontani, come nel caso precedente. I ricercatori hanno preso in considerazione due concetti caratteristici dello spazio peripersonale:

  • La modulazione spaziale dell’integrazione multisensoriale (MSI), ossia la variazione nella percezione di uno stimolo a seconda della distanza dal corpo bersaglio. Dallo studio è emerso che la risposta cerebrale a stimoli uditivi e visivi diminuisce al crescere della distanza dal corpo, e viceversa.
  • La superadditività: gli stimoli più vicini al corpo amplificano l’attività neuronale e accelerano la risposta comportamentale.
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Risultati

Nel gruppo di controllo entrambe le proprietà sono state efficacemente riscontrate. L’elettroencefalografia ha visto nei neonati un pattern di integrazione multisensoriale che risultava sempre più evidente col passare dei giorni di vita. Così come le risposte sensoriali superadditive, chiaramente modulate dalla vicinanza del corpo agli stimoli. Risulta quindi evidente come fin dai primi giorni di vita i neonati umani sviluppino un’integrazione multisensoriale efficiente, associando un suono ad un tocco. Irene Ronga, ricercatrice del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino e autrice dello studio conferma che “Questa scoperta non fa che riaffermare l’importanza delle interazioni, della presenza di un ambiente sensoriale ricco di stimoli e delle relazioni sociali nei primi giorni di vita: il breve momento in cui questo meccanismo di integrazione multisensoriale si sviluppa”, questo approccio inoltre “potrà rappresentare un possibile biomarker di sviluppo neurologico tipico le cui alterazioni potrebbero contribuire al riconoscimento precoce di eventuali anomalie dello sviluppo.”


Questo meccanismo cognitivo sta alla base di ogni approccio relazionale dell’individuo. Pertanto, è fondamentale in un periodo come quello della Covid-19 porre molta attenzione nelle interazioni del neonato con gli affetti famigliari e tutelare questa capacità precoce nel riconoscere gli stimoli dal mondo esterno. Un esempio significativo è rappresentato dai nati prematuri. Al bambino tolto dall’ambiente materno pretermine bisogna porre particolare attenzione nel riconoscere il suo cambiamento di attenzione, il modo in cui interagisce o si difende a seconda degli stimoli provenienti dall’ambiente in cui vive. Le applicazioni di questa scoperta sono molteplici, una ricerca dal potenziale formidabile che non si può fermare ora.

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Gloria Zucchini