La presenza del disturbo dello spettro autistico (autismo) comporta, strutturalmente parlando, un aumento del volume cerebrale dei bambini durante l’infanzia: questo dettaglio fu scoperto per la prima volta dai ricercatori almeno 22 anni fa grazie a scansioni MRI, tesi poi confermata durante gli anni. Ad oggi, un team dell’Università della North Carolina (UNC), Chapel Hill, ha individuato cambiamenti nella crescita cerebrale connessa all’autismo in bambini non più grandi di 6 mesi, dati utilizzati per la conseguente realizzazione di un algoritmo deep learning.
L’algoritmo è stato in grado di predire se ad un soggetto ad alto rischio sarebbe stato effettivamente diagnosticato il disturbo dello spettro autistico raggiunti i 24 mesi, con un’accuratezza del 81% e una sensibilità dell’88%.
Dopo un lungo periodo di studi in cui sono state rilevate scansioni cerebrali a diversi soggetti (106 bambini per l’esattezza, alcuni con episodi di autismo in famiglia) per verificarne la dimensione cerebrale e dopo aver effettuato test comportamentali su soggetti di 24 mesi, in cui risultavano evidenti i sintomi dell’autismo- come mancanza di interesse sociale, ritardo nel linguaggio e movimenti ripetitivi- i ricercatori hanno potuto confermare che una dimensione maggiore del cervello è direttamente proporzionale al grado di severità dell’autismo.
Così, il team formato dai suddetti ricercatori e dagli informatici del UNC e al College of Charleston è riuscito a creare un algoritmo di deep learning, addestrato proprio sulle scansioni cerebrali.
Basatosi su tre variabili, quali superficie e volume cerebrale e sesso del bambino ( i maschi hanno più probabilità di sviluppare autismo rispetto alle femmine), l’algoritmo è riuscito ad individuare 8 bambini su 10 che avrebbero potuto sviluppare autismo. “Risultato decisamente ottimo, meglio di altri strumenti utilizzati come ad esempio la sola analisi comportamentale” spiega Heather Hazlett, psicologa e ricercatrice nello sviluppo cerebrale alla suddetta Università.
Le prestazioni dell’algoritmo sono risultate essere molto più accurate rispetto ai consueti questionari che, anche se ideati appositamente per la previsione di un possibile spettro dell’autismo in soggetti di circa 12 mesi, presentano un’accuratezza solo del 50%.
“L’algoritmo non solo è decisamente più performante, ma stima la possibilità di insorgenza dell’autismo in soggetti a rischio decisamente più giovani rispetto alle normali metodiche” afferma Heather Hazlett.
“Ci aspettiamo le stesse performance dall’algoritmo anche nel caso venissero aggiunti più soggetti” spiega Bren Munsell, assistente professore al College of Charleston “In generale, negli ultimi anni, l’approccio del deep learning applicato sulle immagini si è rivelato sempre molto preciso”.
Tuttavia, prima di poter rilevare un vero e proprio biomarker per la diagnosi precoce dell’autismo basato su caratteristiche strutturali del cervello, quindi utilizzando la singola neuroimaging (impresa non facile, soprattutto per quanto riguarda i costi richiesti per le scansioni cerebrali ai bambini), i test dovranno essere ripetuti ancora numerose volte.
Ma il team non si è fermato: recentemente, infatti, ha coinvolto nello studio anche il machine learning con il medesimo obiettivo ma applicato sull’analisi funzionale del cervello, ottenendo gli stessi strabilianti risultati pubblicati nel Science Translational Medicine.
Diversamente dal primo studio, invece di analizzare cambiamenti strutturali il team è stato in grado di rilevare cambiamenti nelle funzioni cerebrali in bambini di 6 mesi che, con buona probabilità, sono destinati a sviluppare autismo, senza ottenere alcun falso positivo, ossia tutte le previsioni sono state confermate.
In pratica, l’algoritmo ha analizzato come le attività di alcune aree del cervello interagissero con altre, concentrandosi su quelle principalmente coinvolte nella patologia, ossia quella delle capacità linguistiche e quella del comportamento. In certi casi, le aree erano altamente interconnesse e sincronizzate, in altre hanno riscontrato una scarsa sincronizzazione; tuttavia nel complesso l’algoritmo è riuscito a stabilire caratteristiche funzionali tipiche dell’autismo.
Il test è stato effettuato applicando l’algoritmo singolarmente su ogni soggetto (di 6 mesi di età): 9 bambini su 11 sono stati riconosciuti come possibili portatori di un disturbo nello sviluppo neurologico.
“L’algoritmo non è riuscito ad identificare 2 bambini” spiega Robert Emerson del Carolina Institute for Developmental Disabilities at UNC e principale autore dello studio “una possibile spiegazione è che il loro tipo di autismo non era presente nel profilo comportamentale che abbiamo utilizzato per individuare le connessioni cerebrali, ma l’Intelligenza Artificiale è e sarà la chiave per riuscire in questa impresa”.