Neuroscienze e grafene: un nuovo passo avanti
È dell’estate 2021 la pubblicazione di un’importante ricerca neuroscientifica che potrebbe sempre più avvicinarci alla costruzione di neuroni artificiali simili a quelli biologici. Un team di scienziati francesi provenienti da vari centri di ricerca, tra cui l’École normale supérieure e la Sorbonne Université, ha infatti pubblicato sulla prestigiosa rivista americana Science uno studio che riporta come costruire un prototipo di neurone artificiale in grado di simulare i canali ionici tipici del neurone biologico, sfruttando semplicemente delle sottilissime fessure in grafene e uno strato di molecole d’acqua.
Questa ricerca rappresenta il crocevia tra diverse discipline scientifiche, tra cui neuroscienze, nanofluidica, ingegneria elettronica e ingegneria dei materiali, necessarie per avvicinarci a riprodurre il complesso meccanismo di funzionamento dei neuroni biologici. Moltissimi sono gli sforzi volti a creare dispositivi elettronici ispirati al cervello e a riprodurre sistemi neuromorfi, cioè che simulino il comportamento dei neuroni biologici. Ciò che però rende lo studio dei ricercatori francesi diverso dai precedenti è aver focalizzato la propria attenzione nel riprodurre i canali ionici delle cellule. Ma per capirci qualcosa facciamo un passo indietro!
I neuroni: risparmiatori di energia
Il cervello è un sistema altamente efficiente da un punto di vista energetico. L’energia necessaria per svolgere attività complesse tipiche di una giornata può essere paragonabile al contenuto energetico di due sole banane. Alla base dell’efficienza cerebrale vi sono i neuroni, le unità di base, dotati, come ogni cellula, di una membrana cellulare e di pori nanometrici, i canali ionici, che permettono il flusso transmembrana di ioni. In base agli stimoli che la cellula riceve, questi canali sono in grado di aprirsi e chiudersi, permettendo un flusso di cariche tra l’interno e l’esterno della cellula. Il risultato è il generarsi di una corrente elettrica che scorrendo tra i vari i neuroni connessi ne permette la comunicazione e quindi il passaggio di informazioni.
Un’intelligenza artificiale basata su dispositivi elettronici in cui l’informazione viaggia tramite elettroni può simulare il funzionamento del nostro cervello e svolgere compiti altrettanto o più complessi. Il suo problema risiede nell’elevatissima energia che deve mettere in gioco nella comunicazione. Proprio per questo gli scienziati francesi hanno progettato un sistema efficiente che simula la trasmissione tipica dei sistemi biologici, cioè basata sul flusso di ioni.
A partire da considerazioni di nanofluidica, cioè lo studio del comportamento dei fluidi in canali più stretti di 100 nanometri, il team di ricerca francese ha sviluppato questo prototipo di neurone artificiale posizionando un singolo strato di molecole d’acqua all’interno di uno spazio bidimensionale tra due sottili strati di grafene. Uno degli aspetti interessanti di questo studio risiede anche nell’utilizzo del grafene, scelta ovviamente non casuale. Esiste ormai un connubio tra neuroscienze e questo materiale. Ma cos’è il grafene e perché è così tanto importante?
Grafene: il materiale del presente e del futuro
Il grafene è una delle diverse forme in cui il carbonio può esistere, quindi un suo allotropo. Isolato per la prima volta nel 2004 a partire dalla grafite, si presenta come strato di atomi di carbonio disposti a formare un reticolo bidimensionale simile ad un alveare. È il materiale più sottile e leggero al mondo, flessibile e resistente, un ottimo conduttore termico e caratterizzato da elevata mobilità dei suoi elettroni. Queste caratteristiche lo hanno reso negli ultimi due decenni oggetto di ricerca e applicazione in svariati ambiti, ma sono la sua biocompatibilità e stabilità chimica a renderlo ideale nel mondo della bioingegneria e in particolare delle neuroscienze.
In ambito neuroscientifico sono tantissimi gli studi che hanno previsto l’uso del grafene, sia puro sia come materiale di rivestimento. Tali studi possono essere divisi in tre filoni principali:
- Ingegneria cellulare e medicina neurogenerativa: il grafene è stato usato per creare dispositivi in grado di stimolare l’attività cellulare, per creare graft in grado di guidare la rigenerazione dei nervi periferici o, ad esempio, come substrato per la crescita, la differenziazione e stimolazione cellulare;
- Impianti neurali: il grafene permette di interfacciare dispositivi elettronici, come elettrodi, ai neuroni mantenendo l’integrità cellulare al fine, ad esempio, di stimolare aree cerebrali di individui paralizzati o con disordini motori;
- Sistemi neuromorfi: sono molteplici gli studi volti a creare dispositivi in grafene in grado di simulare il comportamento dei neuroni o di parte di essi, come le sinapsi.
Cosa sappiamo e cosa rimane da fare?
Nello studio dei francesi, che si inserisce nel filone di ricerca dei sistemi neuromorfi, le simulazioni sul prototipo di neurone hanno evidenziato come esso si comporti da memristore, cioè un componente elettronico in una cui il valore della resistenza dipende dalla corrente che lo ha attraversato in passato, quindi un elemento che conserva memoria.
Si è visto che, sotto l’effetto di un campo elettrico applicato tra le lastre di grafene, gli ioni presenti nello strato acquoso si ordinano a formare gruppi allungati che tendono a mantenere anche in assenza del campo esterno, conservando informazioni relative agli stimoli passati. In un parallelismo tra artificiale e biologico, le fessure in grafene, i memristori, rappresentano i canali ionici della membrana cellulare. Gli scienziati hanno evidenziato che con una corretta connessione di questi canali è possibile riprodurre il processo fisico di trasmissione dell’informazione tra diversi neuroni.
Questa ricerca, pur essendo solo in una fase iniziale e teorica, apre le porte a numerosi studi. L’obiettivo principale è quello di creare, a partire da questi prototipi, un sistema in grado di apprendere e implementare algoritmi e che potrebbe rappresentare la memoria del futuro. Nel frattempo, questo tipo di studi, ci permette di capire meglio il complesso funzionamento del cervello umano e di poter sviluppare nuove teorie su di esso.
A cura di Francesca Maccarone.