Che cosa può essere potenzialmente acquistato o venduto come NFT? La risposta risiede in tutto ciò che può essere digitalizzato. Il 19 Febbraio 2021, la gif Nyan Cat, popolare sulla piattaforma YouTube, viene venduta sul sito Foundation a 545mila dollari pagati in ether (la moneta digitale usata nella blockchain di Ethereum).
Qualche giorno dopo viene venduta la clip di una schiacciata di LeBron James per 208mila dollari. E ancora: un vasto pacchetto di opere d’arte di Beeple è stato venduto per 70 milioni di dollari. Come termine di paragone, un’opera della celebre serie Ninfee di Monet venne venduta fisicamente nel 2014 a 54 milioni di dollari, 16 in meno dell’NFT di Beeple.
Il primo tweet della storia riporta la frase “just setting up my twttr”. È stato scritto nel 2006 dal fondatore di Twitter, Jack Dorsey, e venduto come NFT a 2,9 milioni di dollari.
I token non fungibili o NFT sono opere digitali uniche, non intercambiabili, la cui tecnologia si basa su una rete decentralizzata di calcolatori che permettono di verificare la validità di ogni transazione (la cosiddetta blockchain). Rappresentano un’evoluzione digitale dell’esistenza fisica di un certo bene, infatti gli NFT non sono presenti in natura. È necessario che, a partire da un bene fisico, si realizzi il bene digitalizzato, a cui viene conferito un certificato di autenticità e unicità, l’NFT, attraverso la tecnologia blockchain.
Inoltre, la blockchain è già utilizzata nell’industria sanitaria per il monitoraggio della catena di produzione e fornitura farmaceutica e per la prevenzione da possibili contraffazioni.
Al contrario, un token fungibile o FT è un bene che può essere sostituito da un bene identico, grazie a uno scambio agevole, senza che ne cambi il valore.
Le leggi sulla privacy tutelano in modo particolare i dati personali che vengono detti, formalmente, dati sensibili. Il GDPR, sigla di General data protection regulation, rappresenta il regolamento europeo in merito alla privacy e ai dati, operativo dal 25 Maggio 2018. I dati relativi alla salute, secondo l’articolo 4 GDPR, sono quelli “attinenti alla salute fisica o mentale di una persona, compresa la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, che rivelano informazioni relative al suo stato di salute“.
Punto importante di questo regolamento è rappresentato dal fatto che la centralità del consenso dell’interessato al trattamento dei suoi dati sanitari sembra essere venuta meno rispetto al previo sistema del Codice privacy. Infatti, i dati sensibili dei soggetti possono essere liberamente trattati nel caso di medicina preventiva, diagnosi e terapia oppure per motivi di sanità pubblica, seppur mettendo in atto misure tecniche al fine di garantire un livello di sicurezza dei dati adeguato al rischio.
Società come “Ancestry” e “23andMe” vendono kit per effettuare il test del DNA autosomico e ricevere informazioni sui propri antenati o sul proprio DNA. Per esempio, si può scoprire molto sulla propria origine etnica e razziale. Oltre a essere accomunate dalla vendita di prodotti concettualmente simili, queste aziende statunitensi condividono anche problemi circa la privacy e l’utilizzo postumo dei dati dei pazienti per scopi di ricerca.
Anche le app sviluppate per monitorare la salute forniscono sempre più dati sanitari che, oltre a essere analizzati dal maratoneta al parco tramite il suo Apple Watch, sono elaborati anche dalle stesse aziende che forniscono questi servizi.
Le nostre informazioni sanitarie personali sono completamente al di fuori del nostro controllo in termini di ciò che accade una volta digitalizzate in un fascicolo sanitario elettronico e di come vengono commercializzate e scambiate da lì
Dott.ssa Kristin Kostick-Quenet, assistente professore presso il Center for Medical Ethics and Health Policy di Baylor.
Se i dati relativi alla salute vengono già diffusamente utilizzati per scopi di ricerca da aziende e organizzazioni sanitarie, perché non monetizzare dalla vendita delle proprie informazioni personali?
La Nebula Genomics a San Francisco ha già reso pubblica l’intenzione di vendere un NFT del genoma di George Church, genetista dell’Università di Harvard a Cambridge.
Si supponga, dunque, di certificare come NFT i propri dati sanitari.
Sarebbe potenzialmente possibile:
Esistono diverse startup che stanno già testando la vendita di NFT. La piattaforma sanitaria Aimedis è il primo marketplace in cui è possibile vendere NFT medici e scientifici a livello mondiale. Si distingue per la creazione di nuovi mercati, collegando ospedali, ricercatori e aziende di intelligenza artificiale, oltre che per l’offerta di NFT che standardizzano il mercato multimiliardario di dati medici e per la garanzia di sicurezza nelle operazioni di condivisione dati.
La tecnologia blockchain, come già noto, produce grandi quantità di CO2 a causa dell’utilizzo elevato di energia per il suo funzionamento. Ciò potrebbe rappresentare, in futuro, un problema ambientale non trascurabile. Inoltre, generare un NFT può risultare molto complesso per un cittadino medio, così come l’operazione di capitalizzazione del bene.
Il mondo del Metaverso, degli NFT e delle criptovalute presenta ancora molte zone d’ombra. La popolazione mondiale media non ha ancora raggiunto sensibilizzazione, educazione e sperimentazione sufficienti per destreggiarsi con cognizione di causa dentro queste nuove realtà.
Le aziende sanitarie vorranno adottare gli NFT? Probabilmente potrebbero non essere favorevoli a quest’idea. Per ora, il mercato sanitario degli NFT rimane solo una potenziale strada.
A cura di Anna Guazzo.