Si chiama Butterfly iQ, il dispositivo che promette di rivoluzionare il campo dell’imaging ad ultrasuoni. L’ecografo è uno strumento diagnostico molto utilizzato sia per la sua scarsissima invasività, infatti non utilizza radiazioni ionizzanti, sia per la possibilità di esaminare, in tempo reale, strutture in movimento. L’obiettivo della start up Butterfly Network è quello di renderlo il più possibile disponibile ed accessibile a tutti. Per farlo, gli ingegneri hanno sviluppato una tecnologia alternativa rispetto all’ecografia tradizionale.
Pochi giorni fa Jonathan Rothberg, fondatore della start up, ha annunciato l’approvazione da parte della FDA per ben 13 applicazioni cliniche del dispositivo, tra cui le scansioni cardiache, gli esami ostetrici ed i controlli muscolo-scheletrici.
Spieghiamo meglio di cosa si tratta, partendo da una breve panoramica dell’imaging ad ultrasuoni. Questo metodo di indagine diagnostica utilizza onde acustiche a frequenze elevate, superiori a 20 kHz, che, attraversando i vari tessuti del corpo, possono subire riflessione o rifrazione. Analizzando l’onda riflessa (l’eco) è possibile differenziare le varie strutture attraversate. Queste strutture, ovvero i tessuti, vengono distinte in base alla specifica impedenza acustica, la resistenza che la materia oppone all’attraversamento degli ultrasuoni. In un ecografo tradizionale, sia la generazione che la ricezione degli ultrasuoni è affidata ai cristalli piezoelettrici, che possono convertire un segnale elettrico in ultrasuoni, mettendosi in vibrazione, e viceversa, grazie alla loro reversibilità.
La principale innovazione introdotta dagli ingegneri della Butterfly Network è stata quella di sostituire i cristalli piezoelettrici con dei microdispositivi, definiti “capacitive micromachined ultrasound transducer” (CMUT), che si comportano come un piccolo “tamburo” per generale le vibrazioni. Quando sottoposti ad una tensione, la membrana al loro interno si muove ed invia gli ultrasuoni all’interno del corpo. L’onda riflessa mette poi nuovamente in vibrazione la membrana e viene registrata come segnale elettrico, generando così l’immagine, più o meno come accadeva con l’effetto piezoelettrico. Il vantaggio, in questo caso, è quello di poter inserire fino a 10’000 di questi microdispositivi in un’unica sonda, grazie all’integrazione su uno strato di semiconduttore, consentendo un enorme range di utilizzo. Un normale ecografo necessita, invece, di numerose sonde, ognuna per una specifica applicazione e ciò comporta elevati costi economici.
A questo si aggiunge la rimozione dell’ingombrante hardware dedicato al controllo e alla visualizzazione dell’immagine. L’iQ funziona infatti con l’i-Phone dell’utente, garantendo un’assoluta portabilità.
Un altro punto di forza è l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per l’acquisizione e l’analisi delle immagini. Gli ingegneri hanno “addestrato” il software, su un grande set di immagini, a distinguere quelle di alta e bassa qualità per le varie parti del corpo. Il sistema, inoltre, aiuta l’utente a trovare il punto giusto per posizionare la sonda, come nel caso di un esame cardiaco.
L’introduzione dell’intelligenza artificiale è l’aspetto che più di tutti potrebbe contribuire all’accessibilità di questa tecnologia nei Paesi in via di sviluppo o nelle cliniche rurali in cui il personale non è addestrato per l’utilizzo dell’imaging ad ultrasuoni. Rothberg, inoltre, prevede che iQ possa entrare nelle case di tutti, tanto da diventare onnipresente quanto un comune termometro domestico.
Il prodotto sarà in commercio dal 2018 ad un prezzo iniziale che si aggirerà sui 2000 dollari, molto più basso di un ecografo tradizionale, e Rothberg ha già fra i prossimi obiettivi quello di ridurlo ulteriormente.