Il morbo di Parkinson è una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale. Questa malattia, seppur molto conosciuta, presenta ancora numerosi aspetti misteriosi e incompresi, motivo per cui è ancora oggetto di un’attiva e continua ricerca. Un gruppo della Jacobs School of Medicine and Biomedical Sciences dell’Università di Buffalo ha aggiunto un prezioso tassello per la conoscenza di questa intricata patologia. Il team, infatti, è riuscito nell’impresa di differenziare cellule staminali pluripotenti indotte umane (hIPSCs) nei neruoni dopaminergici A9 (A9 DA).
I neuroni dopaminergici A9 sono situati nell’area ventrale tegmentale del cervello. Il loro ruolo di controllo dei movimenti volontari è particolarmente cruciale nel Parkinson. Si è infatti osservato che con la malattia la perdita di questi neuroni risulta essere molto importante, andando a incidere sui tipici sintomi motori. In condizioni standard queste cellule fungono infatti da pacemaker, che producono continui potenziali d’azioni.
Si tratta di cellule molto grandi, tra quelle più estese del nostro corpo. Il loro volume è infatti quattro volte superiore a quello di una cellula uovo. La componente più importante di queste cellule, poi, sono i lunghi assoni, che si estendono per quasi 4,5 metri, occupando il 99% dello spazio dell’intera cellula. Data la loro continua produzione di potenziali d’azione, poi, la loro dipendenza dai canali di calcio, che fungono da una sorta di fonte di energia per il loro compito, è particolarmente importante.
Queste cellule sono però vulnerabili e particolarmente delicate, forse proprio a causa della loro particolare conformazione. Tuttavia gli studi a riguardo non sono ancora completi e dettagliati, dunque grazie ai risultati di questo nuovo studio si potrà presto capire il loro funzionamento e come proteggerli nel meccanismo della malattia, evitando la loro perdita e l’insorgere dei sintomi.
Il gruppo di ricerca non era il primo a cimentarsi in questa missione. Il tema della differenziazione in questi neuroni, infatti, è stato fonte di lavoro per molti team. All’Università di Buffalo, però, è finalmente stato raggiunto l’agognato obiettivo: la rigenerazione dei neuroni A9.
Per farlo sono state utilizzate hIPSCs che sono state fatte differenziare nei neuroni A9 DA. I ricercatori hanno cercato di riprodurre le condizioni tipiche dello sviluppo embrionale. In questo stadio, infatti, le cellule secernono delle particolari proteine, dette morfogeni, che fungono da segnalazioni reciproche che indirizzano verso la corretta funzione e il luogo di destinazione nel processo di formazione. Mimando questo scenario, dunque, è possibile veicolare la differenziazione di queste cellule verso la tipologia di interesse. Sono quindi stati identificati tre passaggi fondamentali con diverse sostanze chimiche, di cui è importante ben definire concentrazioni, durata di esposizione e modalità di somministrazione o contatto. Il lavoro è stato possibile anche grazie ai risultati pubblicati da altri gruppi negli anni precedenti.
Il potenziale delle cellule staminali pluripotenti indotte è elevato. Esse possono infatti essere derivate da cellule somatiche di ogni paziente adulto. Tramite un processo di “riprogrammazione”, quindi, queste normali cellule ripristinano la propria pluripotenza, stato da cui possono essere ridifferenziate in tutte le cellule del corpo. La parte complessa sta ovviamente in questo ultimo step, in quanto i protocolli per indirizzare queste cellule nella “direzione giusta” non sono ancora noti e sono dunque un focus di studio della ricerca degli ultimi anni. Grazie a queste cellule potrebbe diventare possibile sostituire quelle malate, ripristinare quelle perdute, creare potenti modelli di studio e molto altro. Il protocollo per la differenziazione nelle cellule A9 si affianca quindi agli altri già affermati in questi potente ambito della medicina.
La diagnosi del Parkinson non si basa su test oggettivi. Il medico valuta infatti i sintomi presentati dal paziente. All’insorgere di questi, però, i neuroni A9 sono già stati persi e non è quindi possibile studiare il meccanismo alla base della loro perdita. Tramite questa nuova scoperta, invece, sarà ora possibile monitorarli nel processo. Questo potrebbe aprire nuove possibilità di trattamento, ad esempio scoprendo come proteggerli dalla morte e preservando la loro fondamentale funzionalità. Più avanti, poi, si potrebbe anche pensare al loro trapianto, per andare a sostituire tutti quelli persi e ripristinare un movimento normale. Il risultato dello studio è solo un primo tassello in questo percorso, ma può già essere fonte di speranza per il futuro.