Quella di restituire la vista ai non vedenti è una delle sfide più ardue ed ambiziose dell’ingegneria biomedica. Proprio per questo motivo, può sembrare che la ricerca in questo campo proceda più a rilento rispetto agli altri. Recentemente, però, sono stati raggiunti nuovi importanti traguardi. Basti pensare all’occhio bionico PRIMA, che ha restituito parzialmente la vista a 5 pazienti. Oppure a quello che, lo scorso anno, è stato il primo impianto in Italia di una retina artificiale.
Adesso è il turno di Orion, la protesi visuale corticale prodotta dall’azienda Second Sight, che, nel corso del primo trial clinico di un dispositivo del genere, ha dato nuove speranze a 6 pazienti non vedenti, 5 uomini e una donna.
La Second Sight non è nuova a questo tipo di risultati. È la stessa infatti che più di 10 anni fa aveva realizzato la pioneristica protesi retinica Argus II.
L’occhio bionico proposto dalla Second Sight, e testato in collaborazione con l’Università della California (Los Angeles) ed il Baylor College of Medicine, consta di tre componenti principali: una piccola telecamera collegata a degli occhiali che registra l’ambiente circostante, un’unità portatile di elaborazione dei segnali, ed un impianto in corrispondenza della corteccia visiva.
L’impianto cerebrale, costituito da 60 elettrodi, traduce le immagini registrate dalla telecamera in pattern di stimolazione.
“Teoricamente, se avessimo centinaia di migliaia di elettrodi nel cervello, potremmo produrre una ricca immagine visiva. Pensa a un dipinto che utilizza il puntinismo, in cui migliaia di piccoli punti si uniscono per creare un’immagine completa, potremmo potenzialmente fare lo stesso stimolando migliaia di punti sulla parte occipitale del cervello“, afferma il Dr. Daniel Yoshor, professore di neurochirurgia presso il Baylor.
Il sistema trova il suo punto di forza nel fatto di bypassare sia gli occhi che il nervo ottico. Infatti, nel caso di danno al nervo ottico, le soluzioni basate su protesi retiniche risultano completamente inefficaci. Inoltre, nei soggetti che hanno perso la vista successivamente alla nascita, la corteccia visiva rimane funzionante, per questo è pensabile utilizzare un dispositivo del genere. Ciò però non è applicabile a chi nasce cieco poiché le parti del cervello coinvolte nella vista non sarebbero sufficientemente sviluppate per elaborare le informazioni visive.
I primi test sono stati svolti in una stanza buia. Ai partecipanti è stato chiesto di indicare il quadrato bianco che sarebbe apparso in posizioni random sullo schermo, a sfondo nero, di un computer. Il quadrato è stato indicato correttamente la maggior parte delle volte, anche dai pazienti completamente ciechi da anni.
È davvero incredibile poter vedere qualcosa anche se per ora sono solo punti di luce.
Afferma Paul Phillip, uno dei partecipanti allo studio, che ha perso completamente la vista quasi dieci anni fa.