Occhio bionico consente recupero parziale della vista a 5 non vedenti
A 12 mesi dall’impianto dell’occhio bionico PRIMA, la Pixium Vision, società francese ideatrice del dispositivo, che collabora con prestigiosi istituti di ricerca nel mondo, al fine di sviluppare sistemi bionici per il recupero della vista in pazienti non vedenti, ne ha annunciato gli straordinari risultati: grazie all’impianto del dispositivo 5 persone non vedenti hanno recuperato parzialmente la vista.
Si tratta di un occhio artificiale dotato di un microchip retinico, che acquisisce le immagini grazie a una telecamera installata su occhiali speciali e le traduce in impulsi nervosi, che attraverso il nervo ottico arrivano al cervello, garantendo la visione. Grazie all’impianto del dispositivo i partecipanti allo studio, tutti affetti da maculopatia, una patologia che colpisce la macula, ossia l’area che si trova al centro della retina e che serve alla visione distinta centrale (per leggere, riconoscere i volti, guidare, ecc.), ora sono in grado di vedere caratteri molto grandi e anche sequenze di lettere.
Un incredibile risultato del progetto PRIMA, volto a ripristinare una visione artificiale in pazienti non vedenti mediante una protesi retinica, ideata e inizialmente realizzata da Daniel Palanker, della Stanford University. I dettagli di questa prima sperimentazione saranno resi noti anche in occasione del Macula Today 2019, il convegno organizzato dalla Macula & Genoma Foundation Onlus.
“L’occhio bionico ‒ spiega il dott. Andrea Cusumano, ricercatore in oftalmologia presso l’Università di Tor Vergata e consulente medico scientifico di PRIMA‒ funziona grazie a un microchip costituito da 378 ‘fotodiodi’ miniaturizzati, con dimensioni totali di soli 2 millimetri di lunghezza e larghezza. Impiantato sotto la retina, è in grado di sostituire i ‘fotorecettori’ retinici mancanti nei pazienti con degenerazione maculare legata all’età (AMD) di tipo atrofico allo stadio terminale di malattia, restituendo in parte la funzionalità visiva persa e, con essa, un maggiore grado di indipendenza e autonomia”.
L’impianto della protesi è riuscito e non ha alterato in alcun modo la visione «residua» dei pazienti (più precisamente la visione periferica). Durante la successiva riabilitazione, nei pazienti si è avuto un graduale aumento della percezione visiva, fino al riconoscimento di forme, lettere e numeri. Grazie agli straordinari risultati, la FDA ha già autorizzato la prosecuzione dello studio negli USA, dove stanno per essere sottoposti all’ impianto altri 5 pazienti presso l’Università di Pittsburgh e il Bascom Palmer di Miami. Se i risultati saranno confermati, si porterà avanti uno studio multicentrico più ampio, a cui dovrebbe partecipare anche l’Italia, finalizzato a ottenere per il dispositivo PRIMA il marchio CE.
Ciò significherebbe poter offrire a milioni di persone la possibilità di un recupero di un certa funzionalità visiva fino a poco fa nemmeno ipotizzabile. Lo studio apre dunque nuove speranze per chi è affetto da tale malattia che, nella sua forma atrofica (circa l’80% dei casi), è attualmente incurabile. La metodica potrà essere utilizzata anche per il trattamento di pazienti affetti da malattie genetiche della retina, prima fra tutte la retinite pigmentosa.