Operatrice sanitaria comunica all’ospedale di essere incinta | Licenziamento in tronco, scandalo al Buzzi di Milano
Avvenuto tramite telefonata il licenziamento per gravidanza di un’operatrice sanitaria: bufera all’Ospedale Buzzi di Milano.
Oggi più che mai, il tema della tutela delle lavoratrici in gravidanza sembra aver finalmente catturato l’attenzione che merita, soprattutto in un Paese come l’Italia, dove la famiglia è ancora un valore cardine. Tuttavia, nonostante leggi e regolamenti che dovrebbero garantire un minimo di stabilità, le storie di discriminazioni assurde non sono poi così rare.
Possibile che ancora oggi ci siano donne costrette a vivere un periodo così delicato come la gravidanza in balia delle decisioni del proprio datore di lavoro? Eppure, eccoci qua, con un altro caso che lascia davvero senza parole.
Parliamo di un lavoro in ospedale, un luogo in cui si dovrebbe avere il massimo rispetto per la vita e la salute, non solo dei pazienti ma anche di chi ci lavora. E parliamo di strutture che ogni giorno si prendono cura di migliaia di madri, di bambini appena nati… insomma, è ironico, quasi surreale, che proprio lì possano avvenire situazioni di discriminazione contro le donne incinte.
Per alcune aziende, soprattutto quelle che fanno uso di contratti temporanei o tramite agenzie interinali, la tentazione di “risolvere il problema” alla radice è ancora forte. Non ci si preoccupa minimamente delle conseguenze psicologiche o economiche di una donna che si trova all’improvviso senza lavoro e senza prospettive proprio quando avrebbe più bisogno di stabilità.
La telefonata che svela tutto
A rendere questa storia ancora più toccante è il fatto che Diana, una dipendente sanitaria di 37 anni, ha registrato la telefonata con cui l’hanno praticamente messa alla porta. Sì, proprio così. Ha deciso di premere “rec” e registrare ogni parola della rappresentante delle risorse umane di Randstad Italia, l’agenzia che gestisce il suo contratto temporaneo. Una conversazione dura, fredda, che è stata poi diffusa sui media, facendo emergere tutta la tensione di un dialogo che avrebbe dovuto avere tutt’altro tono.
Diana, per di più, è una mamma sola, con un figlio adolescente e una situazione economica tutt’altro che stabile. E non è tutto: la gravidanza è persino considerata “a rischio”, per cui perdere il lavoro potrebbe significare anche rinunciare a cure necessarie. Immagina la sua reazione di fronte a quella telefonata. Come non indignarsi? Ha raccontato la sua esperienza ai giornalisti, portando all’attenzione pubblica un caso che in altre circostanze forse sarebbe passato sotto silenzio.
Le risposte di Randstad e dell’ospedale
Dopo la diffusione della telefonata, Randstad Italia ha sentito la necessità di prendere posizione, e ha pubblicato una nota di scuse ufficiali, promettendo di risolvere al più presto la questione. Hanno dichiarato che la tutela delle madri lavoratrici è uno dei valori fondamentali della loro azienda e che faranno tutto il possibile per evitare che una situazione simile si ripeta. Insomma, parole belle, ma sarà sufficiente?
Anche l’Ospedale Buzzi si è fatto sentire, dicendo che cercherà di trovare una soluzione più sicura per Diana. Insomma, hanno parlato di ricollocamento, di prolungamento del contratto e di valutare ruoli che le consentano di continuare a lavorare senza mettere a rischio la sua salute o quella del bambino.