Telecomandare il cervello? Sembra fantascienza, ma forse non lo è del tutto. Di recente, i ricercatori della Northwestern University negli Stati Uniti, in collaborazione con l’Università di Hong Kong, sono stati protagonisti dello sviluppo di un dispositivo ultraminiaturizzato, senza fili nè batterie, wireless e completamente impiantabile primo nel suo genere che utilizza la luce per attivare i neuroni. Questo rappresenta uno dei primi studi condotti su topi ad utilizzare questa nuova tecnologia.
Questo studio segna un passo avanti nell’optigenetica, ovvero quella disciplina che combina tecniche ottiche e genetiche con l’obiettivo di capire meglio come funzionano i circuiti neuronali all’interno dei nostri cervelli. In particolare, il lavoro condotto dal gruppo americano rappresenta il primo documento di optogenetica che esplora le interazioni sociali all’interno di gruppi di animali.
La ricerca precedente che utilizzava l’optogenetica richiedeva fili a fibre ottiche che limitavano i movimenti del topo e li faceva impigliare durante le interazioni sociali o in ambienti complessi. Questo rendeva difficile, se non quasi impossibile, osservare più animali interagire socialmente, proprio perchè erano legati. Grazie alla tecnologia wireless di questo dispositivo è stato possibile osservare l’interazione in gruppi di animali, evitando che questi si impigliassero o rompessero le fibre.
Come è stato possibile? Grazie alla sua flessibilità, il dispositivo, di circa mezzo millimetro, viene collocato sulla superficie esterna del cranio, sotto pelle. Una volta posizionato, il piccolo congegno viene collegato ad una sonda filamentosa sottile e flessibile provvista di LED sulla punta, che si estende fino al cervello grazie ad un piccolo difetto cranico. Il suo funzionamento si basa sulla comunicazone near-field, la stessa tecnologia utilizzata per negli smartphone per i pagamenti elettronici.
In questo modo, i ricercatori sono in grado di utilizzare e controllare la luce in modalità wireless real-time, attraverso un’interfaccia utente su computer. Inoltre, non meno importante, un’antenna che circonda le gabbie degli animali fornisce l’alimentazione al dispositivo, eliminado così la necessità di ricorrere a batterie ingombranti.
Per provare la funzionalità del dispositivo, Yevgenia Kozorovitskiy, neurobiologa a capo degli esperimenti in vivo, ha progettato un esperimento con lo scopo di esplorare un approccio optogenetico per analizzare le interazioni sociali tra coppie o gruppi di topi in remoto. Quando i topi erano fisicamente vicini l’uno all’altro, i ricercatori hanno attivato una serie di neuroni opportunamente modificati in modo da esprimere canali ionici sensibili alla luce. Essi, trovandosi in una regione del cervello correlata alla funzioni esecutive di ordine superiore, hann causato un aumento nella frequenza e nella durata delle interazioni sociali. Viceversa, la desincronizzazione della stimolazione ha ridotto prontamente le interazioni sociali nella stesso gruppo o coppia di topi.
Da sempre i neuroscienziati hanno cercato un modo per osservare la complessa attività neurale in tempo reale, quel pattern fatto di potenziali d’azione che compone la rete di attività dei nostri cervelli. L’optogenetica permette di superare molti dei limiti delle tecnologie attuali, più intricate e lunghe, consentendo di studiare il comportamento di cellule, in particolare di neuroni. Ciò ha permesso di analizzare l’attività cerebrale di animali presi singolarmente, in contesti isolati e non.
L’interazione sociale in coppie o gruppi più complessi è, d’altro canto, una delle frontiere più importanti ed entusiasmanti delle neuroscienze. In questo senso l’utilizzo di un dispositivo wireless rappresenta una grande svolta nell’optogenetica: permetterà di indagare su come si formano e si rompono i legami tra gli individui in gruppi e per esaminare come le gerarchie sociali derivano da queste interazioni.
Tra le possibili applicazioni future, i dispositivi neurali wireless di prossima generazione potranno approfondire la nostra comprensione dei comportamenti sociali, fornendo potenzialmente preziose intuizioni sui meccanismi alla base di comportamenti sociali atipici come ad esempio l’autismo.