Un altro passo avanti verso l’ovaia artificiale
Sono passati quasi tre anni dalla sensazionale notizia della nascita di topi sani da madri sterili. Ciò era stato reso possibile dall’utilizzo di un’ovaia artificiale stampata in 3D che aveva ripristinato la capacità di ovulazione e di portare avanti una gravidanza. Adesso, la Dottoressa Monica Laronda dell’Ann & Robert H. Lurie Children’s Hospital of Chicago, che aveva partecipato allo studio insieme ad altri ricercatori, ha annunciato un altro importante risultato, pubblicato sulla rivista Scientific Reports.
Per la prima volta, infatti, sono state mappate ed identificate le proteine strutturali di un’ovaia porcina. Lo studio di tali strutture è fondamentale per realizzare l'”inchiostro” con il quale andare a realizzare quelle che possiamo definire bioprotesi ovariche.
“Il nostro obiettivo è quello di utilizzare le proteine strutturali ovariche per progettare uno scaffold biologico in grado di supportare cellule che producono uova e ormoni. Una volta impiantata, l’ovaia artificiale potrebbe rispondere ai segnali naturali dell’ovulazione, consentendo la gravidanza.” Afferma la Dottoressa Laronda.
Essendo tali proteine uguali a quelle presenti anche nell’ovaia umana, potrebbero essere esse stesse a fornire un’importante fonte per il bioinchiostro.
Dopo l’importante traguardo raggiunto sui topi, è necessario però sviluppare strutture molto più complesse. A tal proposito è stato osservato, nel dettaglio, il microambiente ovarico, in termini di matrice extracellulare e relative proteine, e il ruolo che questo ha nella follicologenesi, ovvero la maturazione dei follicoli.
Prospettive future
Uno studio del genere potrebbe non fermarsi alle sole ovaie. Secondo quanto riportato dagli stessi ricercatori, il loro metodo potrebbe essere applicato anche per comprendere nel profondo le strutture di altri organi così da fornire una grossa spinta alla rigenerazione tissutale.
“Abbiamo sviluppato una pipeline per identificare e mappare le proteine dello scaffold al livello dell’organo. È la prima volta che ciò viene realizzato e speriamo che spronerà ulteriori ricerche nel microambiente di altri organi.” Conclude la dott.ssa Laronda.