L’utilizzo delle piante come farmaci risale a tempi antichissimi, già i Mesopotamici e gli Egizi utilizzavano fiori e radici per creare unguenti medicamentosi. Un retaggio del passato che vive ancora oggi: i principi attivi di molti farmaci sono infatti di origine vegetale. Una delle nuove frontiere delle Biotecnologie è l’utilizzo di piante come bioreattori per la produzione su larga scala di proteine importanti dal punto di vista farmaceutico. Questa promettente industria si chiama Plant Molecular Farming (PMF).
Grazie all’abbattimento dei costi ed al mantenimento degli standard di sicurezza, queste bio-piattaforme possono avere un impatto notevole soprattutto nella commercializzazione di anticorpi, medicinali e vaccini per il trattamento di malattie croniche ed infettive.
Le piante vengono modificate ricorrendo agli strumenti dell’ingegneria genetica, dando vita a piante transgeniche, ovvero a piante che esprimono geni non propri (eterologhi). Esistono diversi metodi per riuscire ad inserire geni eterologhi nelle piante. Uno dei più utilizzati è quello che sfrutta il meccanismo di infezione dell’ Agrobacterium Tumefacens. Questo batterio vive nel terreno ed è in grado di infettare le piante, generando dei tumori.
Il suo meccanismo di azione è facile: attaccando i tessuti vegetali, trasferisce parte del suo corredo genetico alla pianta stessa e in questo modo fa sì che questa produca proteine utili al batterio stesso. Questo meccanismo di parassitismo ha incuriosito molto gli scienziati, che hanno iniziato a studiarlo al fine di trasferire all’interno del genoma vegetale geni che codifichino per proteine-farmaco.
In questo modo e’ quindi possibile ottenere questi biorettori verdi: una volta disarmato dei geni maligni, sostituiti dai geni eterologhi di nostro interesse, l’agrobatterio modificato infetta le cellule vegetali. In questo modo, i geni per un vaccino o una molecola farmaceutica vengono integrati in modo stabile all’interno del genoma della pianta. Nonostante l’industria dei farmaci derivati dalle piante sia ancora ai suoi albori, le cose stanno cambiando rapidamente.
Nel 2012, la Food Drug Administration americana ha approvato Elelyso (taliglucerase alfa) come primo farmaco biologico di origine vegetale, per il trattamento della malattia Gaucher di tipo 1, un disturbo genetico raro. I pazienti affetti da questa patologia mostrano una carenza dell’enzima Glucocerebrosidasi responsabile della trasformazione del Glucocerebroside in glucosio e grassi. A causa di questo deficit enzimatico, questa molecola si accumula in maniera anormale nei lisosomi dei macrofagi, causando leucopenia e anemia. È qui che entra in gioco Elelyso: questo farmaco non è altro che una forma ricombinante di Glucocerebrosidasi umana, iniettabile, che sostituisce tale enzima, impedendo di conseguenza l’accumulo di lipidi negli organi e nei tessuti e il danneggiamento di fegato e milza.
Sono diversi i punti di forza su cui poggia questa nuova tecnica. Un primo aspetto è legato alla sicurezza di questi bioreattori naturali. Le piante, infatti, non vengono infettate dagli stessi agenti patogeni che invece colpiscono l’uomo, come virus o batteri. Di conseguenza possono garantire un prodotto finale senza contaminazioni. Inoltre, sono in grado di sintetizzare in modo corretto proteine umane, con il giusto ripiegamento e con le stesse modifiche post-traduzionali che avvengono nelle cellule eucariote. L’espressione della proteina ricombinante nelle piante può essere raggiunta in un tempo velocissimo, intorno alle 8 settimane.
Un altro dei vantaggi di maggior rilievo è il basso costo. La coltivazione delle piante è estremamente economica: acqua, sali minerali e sole, è di questo che le piante hanno bisogno per crescere. Ed è grazie a questi aspetti che la scalabilità nella produzione è molto più semplice rispetto ad altre tecniche: esistono già infrastrutture competenti per la raccolta, semina e lavorazione del materiale vegetale.
Nonostante i vantaggi siano molti, prima che la Plant Molecular Farming diventi realtà, bisognerà rifinire certi aspetti. Tra questi senza dubbio c’è il livello di espressione della proteina ricombinante nella pianta, ancora troppo basso e non semplice da controllare. Inoltre, le policy degli organismi a tutela della sicurezza dei prodotti sono particolarmente severe soprattutto nei confronti di sostanze alimentari utilizzate in campo farmaceutico, per la possibile generazione di reazioni allergiche. Tuttavia, con il previsto aumento della popolazione globale, aumenterà considerevolmente anche la richiesta di farmaci per rispondere alle crescenti esigenze nel trattamento di patologie. A far ben sperare sono anche alcuni vaccini di origine vegetale arrivati ai trial clinici, come ad esempio quello per l’epatite B, in cui le proteine del virus sono state integrate efficacemente nel genoma di alcune piante.
La strada da percorrere è ancora lunga, ma sicuramente la Plant Molecular Farming ha un enorme potenziale e potrebbe aprire nuove strade per rafforzare l’industria farmaceutica tradizionale nell’obiettivo di migliorare il benessere umano.