Articolo a cura di Giulia Nucci.
Organoide non è una storpiatura della parola “organo”, ma piuttosto una sua derivazione. Gli organoidi, infatti, possono essere definiti come degli organi miniaturizzati che vengono prodotti in laboratorio e che riproducono proprietà strutturali e funzionali degli organi umani. Nel tentativo di ricreare organi “in provetta”, anche l’ingegneria biomedica ha dato il suo contributo, con i cosiddetti organ-on-a-chip, sistemi microfluidici tridimensionali che simulano le attività e la meccanica degli organi. Tuttavia, entrambe le tecnologie presentano limiti. Come spiega Dongeun Dan Hu, professore di Bioingegneria presso l’Università della Pennsylvania, “a differenza degli organi su chip, sistemi artificiali fortemente ingegnerizzati, gli organoidi rappresentano un modello più realistico e ci consentono di imitare la complessità del corpo umano in modo più naturale. Tuttavia, possiedono problemi intrinseci legati all’alta variabilità dell’ambiente in cui crescono. La tecnologia degli organi su chip può venire in aiuto”.
Organoid-on-a-chip: è questa la soluzione che offre possibilità uniche per aprire approcci innovativi alla ricerca medica, alla scoperta di farmaci e ai test tossicologici. Sicuramente uno tra i principali vantaggi di questa nuova tecnologia c’è quello di complementare o addirittura sostituire il modello animale. Ma facciamo un passo indietro. Come si generano gli organoidi?
Si ottengono a partire da un fonte cellulare. Le cellule in coltura, sottoposte a una serie di nutrimenti e stimoli, tendono ad auto-aggregarsi e a formare queste strutture complesse tridimensionali. I tipi di cellule che si possono utilizzare sono diverse: cellule isolate direttamente dagli organi, cellule staminali adulte, embrioniche oppure cellule staminali pluripotenti indotte. Ad oggi un’ampia varietà di tessuti è stata riprodotta tramite organoidi su chip e il loro impiego spazia dalla medicina rigenerativa alla modellizzazione di patologie. E non solo, gli organoidi derivati da paziente permettono di riprodurre direttamente “in provetta” una patologia specifica, consentendo di sviluppare un modello personalizzato. È scontato dire che i vantaggi siano molti e l’impatto nel mondo della ricerca, in particolare nei test sui farmaci, sia rilevante. Non solo hanno la promessa di cambiare il panorama nella ricerca biomedica, ma anche quello di influenzare campi che sono sempre stati oggetto di dibattito etico.
Questi modelli sono in grado di imitare la fisiologia umana in modo più accurato rispetto alle tradizionali colture bi-dimensionali e ai modelli animali. Infatti, anche se il modello animale ha sempre rappresentato uno standard di riferimento per lo studio di certe patologie e terapie correlate, l’applicazione dei risultati sull’uomo si è rivelato molto spesso problematico, per differenze intrinseche legate alle due diverse specie. Questi micro-sistemi, invece, sono derivati da cellule umane e, proprio per questo, sono caratterizzate da un metabolismo e un turn-over cellulare di tipo umano. D’altra parte però esistono ancora numerose sfide tecniche che devono essere superate per soddisfare le esigenze della ricerca e ampliarne l’utilizzo. Questi sistemi sono in grado di riprodurre abbastanza fedelmente gli organi su piccola scala, ma per quanto riguarda un sistema complesso come il corpo umano? Per poter rimpiazzare la sperimentazione animale, bisogna cercare di sviluppare un modello che sia in grado di riprodurre, nella maniera più accurata possibile, un organismo vivente nella sua interezza. Come diceva Aristotele “il tutto è più complesso della somma delle sue parti”, e, infatti, la nuova frontiera dell’ingegneria biomedica è il body-on-a-chip, che utilizza più modelli di organo all’interno di un’unica piattaforma.
Nonostante il concetto di base di questi sistemi multi-organi sia chiaro, molti ostacoli rimangono prima della loro accettazione e conseguente applicazione. Tra queste ci sono sicuramente il limitato numero di condizioni sperimentali che possono essere sottoposte a screening e anche il requisito di utilizzare un terreno di coltura cellulare comune. Non da trascurare sono eventuali problemi etici che potrebbero nascere dall’utilizzo degli organoidi, proprio perché derivati da cellule umane. I quesiti in gioco sono ancora molteplici, ma volgendo lo sguardo verso il futuro, queste piattaforme hanno il potenziale di cambiare radicalmente il modo in cui lo sviluppo di nuovi farmaci e modellizzazione di patologie vengono eseguiti.