Come funziona?

È possibile far ringiovanire il nostro cervello?

Nascono meno neuroni con l’avanzare degli anni? A quanto pare sì e il gruppo di ricerca del Brain Research Institute presso l’Università di Zurigo è riuscito a capire un meccanismo che si cela dietro questo fenomeno. Quando le persone invecchiano, le cellule staminali presenti nel loro cervello perdono la capacità di proliferare e produrre nuovi neuroni. Ciò porta ad un inevitabile declino della funzione della memoria. I ricercatori hanno ora scoperto un meccanismo legato all’invecchiamento delle cellule staminali e un modo per poter riattivare la produzione di neuroni.

Cosa vengono prodotti nuovi neuroni?

Nel corso della nostra vita, a partire dallo sviluppo embrionale, avviene un fenomeno noto come neurogenesi, durante il quale vengono generati nuovi neuroni nel cervello. Questo processo è fondamentale quando un embrione si sta sviluppando, ma continua anche in alcune regioni del cervello dopo la nascita e prosegue per tutta la durata della nostra vita.

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Il cervello maturo ha molte aree specializzate che controllano funzioni specifiche e neuroni che differiscono per struttura e connessioni. L’ippocampo, ad esempio, che è una regione del cervello che svolge un ruolo importante nella memoria, nella cognizione e nella navigazione spaziale, da solo ha almeno 27 diversi tipi di neuroni. L’incredibile diversità dei neuroni nel cervello deriva dalla neurogenesi regolata durante lo sviluppo embrionale. Durante questo processo, le cellule staminali neurali si differenziano, cioè diventano uno qualsiasi dei numerosi tipi di cellule specializzate, in momenti e regioni specifici del cervello.

Lo studio nel dettaglio: come riattivare le cellule staminali del cervello

Uno studio condotto dal gruppo di ricerca di Sebastian Jessberger, professore presso il Brain Research Institute dell’Università di Zurigo, ha mostrato come la formazione di nuovi neuroni sia compromessa con l’avanzare dell’età. In particolare, il declino della neurogenesi correlato all’età è stato associato a disturbi della memoria.

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L’elemento centrale in questo processo è una proteina localizzata nel nucleo delle cellule staminali, fondamentale per la proliferazione delle cellule staminali ed è chiamata lamina B1. Per giungere a questa conclusione, lo studio in vivo condotto su topi da laboratorio anziani ha mostrato come questa proteina nucleare sia incaricata di suddividere le proteine dannose accumulate nel tempo e di distribuirle alle due cellule figlie durante la divisione cellulare.

Durante l’invecchiamento, i livelli della proteina lamina B1 diminuiscono, determinando una distribuzione non equa delle proteine ​​nocive tra le due cellule figlie. Questo fatto comporta una diminuzione del numero di neuroni di nuova generazione. Nel corso dell’esperimento i ricercatori hanno osservato che, aumentando i livelli di lamina B1 negli animali, la divisione delle cellule staminali non solo migliorava, ma il numero di nuovi neuroni cresceva.

Avvantaggiandosi dell’ingegneria genetica e di una tecnologia di frontiera nel campo della microscopia, il team di Sebastian Jessberger ha identificato questo meccanismo.

Le implicazioni di questo studio

Questa ricerca si aggiunge a tutti i lavori di ricerca focalizzati sull’esplorazione dei cambiamenti dipendenti dall’età nel comportamento delle cellule staminali. La capacità di rigenerare tessuti danneggiati generalmente diminuisce con l’età, influenzando così quasi tutti i tipi di cellule staminali del corpo. Nel cervello questo processo è strettamente correlato con i livelli di proteina lamina B1 presente nel nucleo delle cellule staminali.

È vero che questo studio sia limitato alle cellule staminali del cervello, ma è pur sempre probabile che meccanismi simili a questo siano cruciali nel processo di invecchiamento di altre cellule staminali. Inoltre, grazie a questa importante scoperta, ora gli scienziati sanno come riattivare le cellule staminali del cervello e come afferma Jessberger,

Ora sappiamo che possiamo riattivare le cellule staminali che invecchiano nel cervello. La nostra speranza è che questi risultati un giorno aiuteranno ad aumentare i livelli di neurogenesi, ad esempio nelle persone anziane o in coloro che soffrono di malattie degenerative come l’Alzheimer. Anche se questo potrebbe essere ancora molti anni nel futuro

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Giulia Nucci