Prospettive per il trattamento della SLA: la stimolazione magnetica transcranica
La stimolazione transcranica magnetica (o TMS-Transcranial Magnetic Stimulation) è una tecnica di stimolazione cerebrale basata sul principio di mutua induzione tra campo elettrico e magnetico. Impiegata già da tempo a scopo diagnostico, ha rivelato le sue utilità anche in ambito terapeutico per il trattamento di diverse patologie neurologiche, quali deficit motori dovuti a lesioni cerebrali, sclerosi multipla, disturbi cognitivi di diversa natura, ed anche patologie psichiatriche. Questa pratica, frutto di studi iniziati nei decenni scorsi, continua a rivelare nuovi spunti e risultati sperimentali promettenti; uno di questi, riguarda proprio il trattamento della SLA, acronimo di “Sclerosi laterale amiotrofica“.
Potenzialità nel trattamento della SLA della stimolazione magnetica transcranica
Negli ultimi anni, infatti, arrivano importanti novità proprio dall’Italia: un team di ricercatori guidati dal prof. Vincenzo Di Lazzaro, responsabile della UOC di Neurologia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, è riuscito a dimostrare le potenzialità della stimolazione magnetica transcranica somministrata a pazienti SLA, realizzata in particolare mediante un campo magnetico statico. Di seguito andiamo ad approfondire questo approccio sperimentale, cercando di comprendere quale sia il legame tra le stimolazioni elettromagnetiche e la SLA e quale potrebbe essere il ruolo di questa terapia nel trattamento della malattia e di altre patologie neurodegenerative.
Cos’è la SLA: le alterazioni dell’attività elettrica nei motoneuroni
La SLA è una malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni, causando la progressiva perdita del controllo muscolare volontario nel paziente. Al momento, non esiste una cura per questa patologia; gli unici farmaci approvati, che consentono un rallentamento comunque modesto della progressione della malattia, sono il riluziolo e l’edavarone e la maggior parte degli altri trattamenti sono da considerarsi come palliativi.
The whom healthy, rappresentazione schematica di motoneuroni sani e compromessi da SLA
A rendere complessa l’identificazione di una terapia efficace è soprattutto il fatto che le cause e molti meccanismi alla base dello sviluppo della malattia sono ancora sconosciuti. Grazie ad alcuni strumenti diagnostici (tra cui la stessa TMS) emerge, tuttavia, un dato comune: nella maggioranza dei pazienti esaminati si riscontra un’anomala attività elettrica a livello dei motoneuroni, nota come ipereccitabilità neuronale.
Infatti, nella SLA si ritiene che “la segnalazione elettrica nei motoneuroni aumenti inizialmente durante le prime fasi della condizione e poi diventi gradualmente compromessa man mano che le cellule si deteriorano e perdono la capacità di rispondere adeguatamente agli stimoli”, come affermato in un recente studio. L’ipereccitabilità, infatti, si dimostra un fattore contribuente al deterioramento cellulare del neurone e si assiste, dunque, al tentativo di sviluppare terapie in grado di inibirla o ridurla.
La stimolazione transcranica magnetica e gli studi italiani per il trattamento della SLA
La TMS, come già anticipato, è una tecnica non invasiva di stimolazione cerebrale impiegata in terapia per trattare diversi disturbi motori e cognitivi. La TMS si pratica generando, attraverso una sorgente di corrente esterna, un campo magnetico variabile che penetra nel tessuto cerebrale del paziente, e che induce a sua volta impulsi di corrente. Un gruppo di ricercatori italiani, guidati dal prof. Di Lazzaro, ha effettuato, in questi anni, studi sulla variante ripetitiva del trattamento TMS, ovvero la rTMS, somministrata a pazienti SLA, ottenendo incoraggianti riscontri.
Come affermato in un documento relativo agli studi condotti da Di Lazzaro, “i risultati di questi studi dimostrano in maniera convincente che la rTMS determina una lieve ma significativa riduzione della velocità di progressione della SLA”, e “l’effetto limitato della rTMS sulla progressione di malattia potrebbe essere legato alla breve durata delle modificazioni dell’eccitabilità corticale”. A tal proposito, si è ritenuto presumibile che modalità di stimolazione protratta potessero condurre ad effetti più significativi nel rallentare la malattia.
Proprio di recente, era già stata dimostrata da un altro gruppo di ricercatori l’efficacia nella “soppressione dell’eccitabilità della corteccia motoria primaria, al pari delle altre metodiche di stimolazione cerebrale” di una TMS realizzata impiegando un campo magnetico statico, ovvero la sTMS. In questo caso, per erogare la terapia basta un magnete e ci si trova quindi nelle condizioni ottimali per realizzare un trattamento somministrabile più volte e per sessioni più lunghe, risolvendo il problema dovuto alle brevi stimolazioni.
Il team, infatti, è riuscito a somministrare a due pazienti affetti da SLA una terapia sTMS a domicilio, praticando sessioni quotidiane e ripetute, utilizzando unicamente un magnete di Neodimio-Ferro-Borio nichelato (MAG45r, Neurek SL, Toledo, Spain), ed un caschetto di supporto per consentirne l’applicazione sul cranio del paziente in direzone della corteccia motoria (MAGmv1.0, Neurek SL). I risultati sono stati una “significativa e prolungata riduzione nella progressione di malattia in due pazienti affetti da SLA tipica”, come si evince sempre dai documenti relativi allo studio.
Successivamente, è stato avviato in collaborazione con l’Istituto Auxologico di Milano, lo studio Meccanismi neurofisiologici della stimolazione cerebrale transcranica con campo magnetico statico (tsmS) in soggetti affetti da sclerosi laterale amiotrofica, che ha visto avviata la fase due alla fine del 2021, e sono tutt’ora in corso analisi di dati relativi alla sopravvivenza.
Prospettive future sul trattamento della SLA
Nello scenario attuale la SLA rappresenta ancora una diagnosi dall’impatto devastante nella vita dei pazienti. Nonostante negli ultimi vent’anni siano stati fatti importanti progressi nella ricerca di base su questa patologia, la trasposizione di queste nuove conoscenze in effettive terapie risulta spesso lenta e complessa.
In quest’ottica diventa di notevole importanza riuscire a definire i meccanismi ripetitivi e dominanti della patologia, proprio al fine di sviluppare metodologie e tecniche dall’azione più mirata. Per quanto riguarda i trattamenti di stimolazione cerebrale, ad oggi quelli più impiegati per trattare le malattie neurologiche sono di tipo invasivo, per questo le tecniche di TMS si distinguono in termini di sicurezza e maneggevolezza e vengono inquadrate pertanto come trattamenti all’avanguardia con un importante potenziale in ambito neurologico.
A cura di Francesca Frangipani