Articolo a cura di Giulia Nucci.
Non è semplice risalire a quando l’uomo ha iniziato a fabbricare protesi per la sostituzione degli arti. Quello che è certo è che gli sviluppi nelle tecniche chirurgiche e le scoperte nella medicina hanno fatto evolvere questo campo molto rapidamente, portando ai risultati impensabili fino a qualche anno fa. Grazie all’intervento dell’ingegneria, si è riusciti a produrre protesi sempre più simili alle parti del corpo che sostituiscono. I materiali utilizzati sono diversi, e spaziano da quelli plastici, alla fibra di carbonio, ai metalli leggeri come il titanio e l’alluminio. La ricerca in questo campo, tuttavia, non è focalizzata esclusivamente all’utilizzo di nuove tecnologie per migliorarne le performance. In questo panorama, sono molti gli sforzi impiegati nel cercare di produrre protesi per paesi in via di sviluppo, dove circa 3.8 milioni di persone, sottoposte ad amputazione, non hanno accesso a cure protesiche adeguate.
Trovare soluzioni a basso costo adattabili a diverse configurazioni di amputazione: è questo l’obiettivo su cui già da diversi anni si sta lavorando.
Le protesi mirano a sostituire una parte del corpo mancante, un organo, un tessuto o un arto, o a integrarne una danneggiata. I traguardi raggiunti nella tecnologia e nella scienza dei materiali hanno aiutato a sviluppare protesi di ultima generazione sempre più assimilabili ad arti umani. Tuttavia, la produzione e l’utilizzo nei paesi in via di sviluppo sono ancora limitati. Difatti, il costo elevato si somma alla necessità di strutture ospedaliere attrezzate, personale qualificato e materiali disponibili sul territorio. A questo, si aggiunge il fatto che la mancanza di una sanità pubblica adeguata sia essa stessa causa di un numero elevato di amputazioni. D’altra parte, non è pensabile l’importazione di componenti da paesi industrializzati a causa dei costi troppo elevati. La soluzione è sviluppare delle protesi che siano fatte di materiale a basso costo, che siano adatte allo stile di vita delle persone del posto, accessibili a tutti, consentendo di mantenere una vita attiva all’interno della comunità.
La perdita di un arto, infatti, non solo ha un impatto sull’abilità fisica ma provoca anche un profondo danno psicologico e spesso contribuisce al degrado dello status sociale della persona.
Le soluzioni esistono e diversi gruppi di ricerca si stanno focalizzando su questo. In questo panorama, la tecnologia di stampa 3D rappresenta sicuramente una svolta nel settore, perché rende la produzione di parti protesiche efficiente, risparmiando tempo e denaro per il paziente.
Un esempio concreto è rappresentato dal recentissimo studio realizzato da Raghad Alturkistani del dipartimento di ingegneria meccanica del University College London, dove hanno realizzato una protesi passiva stampata 3D per amputazione parziale della mano utilizzando materiale flessibile. Le dita sono state realizzate in acido polilattico (PLA) mentre per la parte palmare della mano si è ricorsi al poliuretano termoplastico (TPU). Il dispositivo viene progettato personalizzandolo sui dati anatomici del paziente. Il primo prototipo è stato sviluppato per un paziente presso l’istituto di Riabilitazione del Christian Medical College Hospital a Vellore in India. Le tre dita protesiche sono state montate sulla sezione del palmo, mentre il filler sostituisce la parte mancante del palmo.
La funzione principale di questa protesi parziale è quella di fornire una presa stabile per migliorare la capacità di svolgere attività bimanuali e unilaterali. Afferrare gli oggetti, è semplice: il paziente usa la mano controlaterale per posizionare le dita protesiche sulla configurazione di presa desiderata, che poi rimangono in posizione attraverso i fili zincati che sono stati tesi per consentire tali configurazioni.
Il dispositivo finale può essere indossato e rimosso facilmente, è leggero e si estende solo al polso. Un po’ come se fosse un guanto, potremmo dire. I vantaggi offerti? Tra questi sicuramente il basso costo, meno di 20 USD, che lo rende più economico del 200% rispetto ai dispositivi a base di silicone; il peso, infatti è un terzo del peso di una protesi tradizionale; la velocità di produzione, in un giorno la protesi è pronta. Tutto questo si adatta ai grandi limiti che sono ancora presenti in questi paesi: la riduzione del lavoro richiesto per ottenere queste protesi, fa sì che servano meno persone qualificate impegnate nella produzione. Inoltre, il costo così basso, rende accessibile l’utilizzo alla maggior parte delle persone.
Nonostante le sfide da affrontare siano ancora molte, la stampa 3D conferma di essere un’alternativa altamente efficace rispetto ai metodi tradizionali di fabbricazione di protesi. I rapidi miglioramenti nel campo suggeriscono che problemi attuali come durabilità e parametrizzazione dei progetti saranno presto superati, permettendone un utilizzo diffuso anche nei paesi in via di sviluppo.