Realizzato il primo modello di sinapsi artificiale con “effetto memoria”
È stato sviluppato il primo modello di sinapsi artificiale-ibrida, composta da un’interfaccia biologica e una piattaforma elettronica, in grado di simulare il comportamento delle sinapsi. La ricerca internazionale, pubblicata su Nature Materials, coinvolge il laboratorio di Tissue Electronics coordinato da Francesca Santoro dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), il gruppo di Alberto Salleo dell’Università di Stanford e il team di ricerca coordinato da Yoeri van de Burgt dell’Università di Eindhoven.
La progettazione della sinapsi artificiale
La sinapsi è una struttura altamente specializzata che consente la comunicazione delle cellule del tessuto nervoso, tra loro e con altre cellule dell’organismo. Quella artificiale ottenuta in laboratorio riproduce le connessioni in modo simile a quanto avviene naturalmente nel cervello: è il punto di arrivo della ricerca che nel 2017 aveva portato il gruppo di Stanford guidato da Salleo a realizzare una sinapsi artificiale.
Per garantire la trasmissione degli impulsi elettrochimici che costituiscono il segnale nervoso, le sinapsi mettono in comunicazione due cellule: un neurone presinaptico e un neurone postsinaptico. Nella realizzazione del modello bioibrido, il team internazionale ha utilizzato delle specifiche cellule di ratto – tipicamente usate nei laboratori per studi preliminari – per simulare il neurone presinaptico. Questo tipo di cellule è in grado di assumere un comportamento simile a quello dei neuroni ed è in grado di rilasciare come neurotrasmettitore la dopamina. Invece, per simulare il neurone postsinaptico, i ricercatori hanno utilizzato un chip neuromorfico organico capace di conservare una sorta di memoria, in un processo simile a quello dell’apprendimento. Infatti, le sinapsi sono caratterizzate da plasticità, cioè dalla capacità di adattarsi in base alla modificazione dell’ambiente e di mantenere memoria delle modifiche apportate.
Il team dell’Università di Stanford ha lavorato alla realizzazione del sistema elettronico, il gruppo di Eindhoven alla microfluidica, mentre i ricercatori dell’IIT si sono occupati dell’accoppiamento diretto delle cellule sul microchip e della misurazione delle variazioni dell’attività elettrica del chip.
Ricreata in laboratorio la plasticità sinaptica
Analizzando le variazioni dell’attività elettrica, il team di ricerca ha scoperto che il chip riesce ad individuare i neurotrasmettitori rilasciati dalle cellule che simulano il neurone presinaptico, e a conservare nel tempo lo stato eccitato alterato raggiunto, fenomeno chiamato “effetto memoria”, dimostrando di essere riusciti a ricreare in laboratorio la plasticità sinaptica, risultato promettente per costituire una connessione tra neuroni del sistema nervoso.
“È la prima volta che un dispositivo elettronico neuromorfico viene direttamente interfacciato con un sistema cellulare per ottenere una piattaforma in grado di riprodurre la plasticità sinaptica a breve e a lungo termine”
dichiara Francesca Santoro, coordinatrice della linea di ricerca Tissue Electronics di IIT di Napoli, già inserita nel 2018 da Technology Review nella lista dei più importanti innovatori unger 35 del mondo. “Prima di questo studio erano stati realizzati sistemi capaci di ricevere stimoli, ma non in grado di eccitarsi e mantenere l’eccitamento a loro volta”.
I ricercatori hanno constatato che, in questa fase della ricerca, non è ancora stata raggiunta la scala temporale di una sinapsi biologica. Tuttavia, la dinamica della connessione è molto vicina a quella tra due neuroni, perciò, diminuendo le dimensioni della piattaforma elettronica, ci si potrebbe avvicinare in modo sensibile. “Le sinapsi del nostro cervello misurano 1-2 micron. Invece la nostra sinapsi artificiale è un rettangolo con dimensioni che possono variare tra 10 e 200 micron per un lato e 40 e 100 micron per l’altro”, ha spiegato Santoro.
Le possibili applicazioni di questo dispositivo
I risultati di questo nuovo studio gettano le basi per nuove ricerche in campo medico, soprattuto nell’ambito delle malattie neurodegenerative, nelle quali si ha la perdita parziale o totale della comunicazione tra i neuroni e per le quali i dispositivi bioibridi potrebbero ripristinare le connessioni neuronali danneggiate. Un altro settore che gioverebbe di questa tecnologia è quello delle protesi: questo tipo di dispositivo farebbe da ponte tra le terminazioni nervose biologiche preservate nell’amputazione e i circuiti delle protesi artificiali robotiche di nuova generazione.