Tre gocce, tre sfere perfette costituite l’una di sangue, di plasma e l’ultima di acqua. Un’immagine che ben rappresenta un’innovazione nel campo della scienza dei materiali e dell’ingegneria biomedica, destinata a dire addio al rigetto di dispositivi medici e a rivoluzionare così il mondo degli impianti.
E’ proprio questo l’obiettivo con il quale un team di ingegneri biomedici e scienziati dei materiali del Colorado State University, hanno sviluppato un trattamento superficiale per il titanio, tale da “respingere” sangue, plasma e acqua, basandosi sul principio della superidrofobicità di alcune superfici, come quelle fortemente repellenti all’acqua.
“Stiamo realizzando un materiale con il quale il sangue detesta essere in contatto, ma che sia compatibile con il sangue stesso”
ha affermato Arun Kota, assistant professor di ingegneria meccanica e biomedica al CSU.
Le superfici superidrofobiche, presentano elevata idrorepellenza e bassa adesione dell’acqua, descritte da un angolo di contatto tipicamente >150°, tra la superficie libera di un liquido e quella del recipiente che lo contiene. Analogamente sono state definite le superfici superemofobiche, tali da presentare elevati angoli di contatto con il sangue.
Nello studio di cui vogliamo parlarvi, è stata valutata per la prima volta l’adesione e l’attivazione delle piastrine del sangue su superfici superemofobiche, realizzando una particolare texture superficiale, che minimizzi l’energia di interfaccia solida.
La bagnabilità è stata caratterizzata mediante goniometro per misurare l’angolo di contatto, la chimica della superficie mediante spettroscopia fotoelettronica a raggi X, mentre l’adesione delle piastrine e l’attivazione mediante microscopia a fluorescenza e a scansione elettronica.
Pertanto sono state impiegate superfici superemofobiche in titanio, sfruttando la nota capacità di far scivolare facilmente le gocce di sangue.
Queste sono state realizzate secondo tre diverse morfologie, ovvero non testurizzata, oppure realizzata a fiori e a tubi in scala nanometrica.
Ognuna di esse presenta inoltre una diversa chimica superficiale, ovvero non modificata, trattata con fluorurati e con PEG.
Quest’ultimi infatti sono noti per la tendenza a ridurre l’adesione piastrinica e i fenomeni di attivazione, i polimeri fluorurati invece per la ridotta interazione dovuta alla bassa energia superficiale dei fluorocarburi allo stato solido.
I ricercatori sono stati in grado di individuare le superfici con spiccata tendenza alla superemofobicità, in particolare quelle in titanio in fluorurato a nanofiori e nanotubi, dovuta ad una minore area all’interfaccia solido-liquido.
Le superfici testate in questo studio, hanno indotto una diversa attivazione, sono state osservate infatti dendriti e aggregazione da parte delle piastrine del sangue. In particolare, le superfici superemofobiche fluorurate e testurizzate hanno presentato minore adesione e attivazione; tra queste, quelle a nanotubi non hanno presentato alcun meccanismo di attivazione piastrinica, come facilmente visibile nell’immagine successiva.
Tale studio è ancora nelle sue prime fasi di sviluppo, ma rappresenta sicuramente un notevole passo avanti verso una maggiore affidabilità di dispositivi biomedicali impiantabili come stents, cateteri, che al momento inducono il rischio costante di coaguli di sangue, ostruzioni, oppure rigetto da parte del corpo.
In quest’ultimo caso infatti, il sistema immunitario del paziente rileva il corpo estraneo e attiva contro di esso una difesa, che può portare a infiammazione grave o altre complicanze.
Per quanto riguarda la coagulazione invece, i pazienti con impianti biomedici necessitano di terapie anticoagulanti, ma che non sempre ne garantiscono l’efficacia, anzi addirittura aumentano il rischio di eccessivo sanguinamento a seguito di ferite.
“Se siamo in grado di progettare materiali sui quali il sangue è a mala pena a contatto con la superficie, praticamente non c’è alcuna possibilità di innescare la reazione di coagulazione, che è dovuta ad una serie di eventi correlati. Per questo stiamo puntando alla prevenzione di una prima serie di eventi”
spiega Ketul Popat, associate professor presso il Colorado State University. Nel futuro la ricerca verterà sull’analisi di ulteriori fattori che incidono sulla coagulazione, infine sull’impiego di tali materiali su reali dispositivi impiantabili.
Articolo di Chiara Rizzo.