All’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma si è ridata la speranza a cinque bambini affetti da atresia esofagea (quindi che colpisce l’esofago) tramite un intervento chirurgico che prevede l’utilizzo di magneti. In cosa consiste e com’è possibile effettivamente intervenire tramite l’utilizzo di magneti?
L’atresia esofagea è un’anomalia congenita rara, che vede il distacco tra esofago e trachea (ovvero quei due distretti corporei che distinguono apparato respiratorio e digerente, permettendo il transito del cibo dalla bocca allo stomaco). Questo distacco avviene nel corso dello sviluppo intrauterino, nel quale la normale separazione tra esofago e trachea, che derivano entrambe da una stessa struttura embrionale, il tubo digerente primitivo, non avviene com’è consuetudine. La frequenza di questa malattia va da un massimo di 1 bambino su 2500 a un minimo di 1 bambino su 4000 nati vivi. L’anomalia può essere riconosciuta sia mentre il bambino è ancora nell’utero materno, tramite ecografie, oppure alla nascita, non riuscendo il bambino ad alimentarsi. Vi si interverrà nei primi giorni di vita, per ripristinare la normale fisiologia, non appena il neonato non raggiunge un buon equilibrio vitale.
Le tecniche meno recenti prevedevano l’incisione toracica in una zona a livello del cavo ascellare, attraverso la quale si raggiunge l’esofago, individuando così la fistola esofago-tracheale (la comunicazione anomala tra questi due siti), anche detta “long gap”, e procedendo al ricongiungimento dei due monconi esofagei.
La magneto-anastomosi è una nuova tecnica non invasiva che si svolge posizionando due magneti, ovvero due calamite aventi un diametro di 0.5 cm, nella parte terminale dei due monconi non comunicanti con l’esofago. Passando attraverso la bocca con un sondino flessibile se ne posiziona uno nel moncone superiore, mentre l’altro, passando tramite un altro sondino attraverso una piccola apertura per l’alimentazione creatasi all’altezza dello stomaco, è posizionato nel moncone inferiore. Quest’ultima apertura è effettuata non solo per l’inserimento del sondino, ma in particolare, per nutrire temporaneamente, in modo artificiale, i neonati, fino alla risoluzione dell’anomalia.
Cosa succede una volta che i magneti sono posizionati nell’esofago? I due monconi esofagei vengono spinti uno verso l’altro, avvicinandoli tanto quanto basta per far attrarre i due magneti reciprocamente, e facendoli così unire sfruttando la forza generata dal campo magnetico delle due calamite. L’intervento, che è monitorato attraverso tecnica fluoroscopica (radiografia), dura circa un’ora (molto meno rispetto alle 2/4 della chirurgia classica).
Come agiscono i magneti: nell’arco di una settimana, la pressione che i magneti esercitano sulle pareti dell’esofago, ne permette una loro erosione, aprendo così il passaggio tra i due monconi, e permettendone la saldatura (tra moncone inferiore e superiore). Si ottiene così la corretta fisiologia esofagea, che prevede l’esofago continuo e pervio.
Nel momento in cui si ottiene questo risultato, i magneti vengono rimossi sfilando il tubicino sul quale erano stati applicati, e il neonato può essere finalmente alimentato per bocca, dovendosi comunque sottoporre a delle sedute di dilatazione dell’esofago, così da poter ottenere l’adeguata ampiezza del condotto.
“L’intervento – spiega Pietro Bagolan, direttore del dipartimento medico chirurgico del feto-neonato-lattante dell’Ospedale Bambino Gesù – permette di evitare lo stress e le possibili conseguenze di un intervento chirurgico classico su di un neonato, consentendo un decorso più semplice e spesso più rapido. Inoltre non si creano cicatrici, neppure interne. Questo rende più semplici e agili eventuali interventi per l’assoluto rispetto dell’anatomia del torace e del mediastino, la delicata regione anatomica in cui è allocato l’esofago”.
Per dar luogo a questo tipo d’intervento si è ricorso all’uso di magneti dimensionati per forza e intensità alla necessità, non essendocene, nel mercato industriaile, di progettati ad hoc. L’investimento futuro sarà proprio quello di studiare e approfondire questa tecnologia, permettendo così di poter aver a disposizione, dei magneti progettati prettamente per il trattamento di magneto-anastomnosi e quindi ad uso clinico.
A cura di Ludovica Rotondo.