Un team di ricercatori del National Institutes of Health ha scoperto una nuova tecnica di riprogrammazione cellulare diretta. Utilizzata su dei topi con degenerazione maculare, il nuovo metodo ha ridato loro la vista in pochi giorni. La procedura ha il vantaggio di riprogrammare le cellule senza dover passare per lo stadio intermedio di cellule staminali, riducendo ampiamente le tempistiche. Il risultato, descritto sulle pagine della rivista specializzata Nature dal National Eye Institute, darà il via a ulteriori studi finalizzati allo sviluppo di nuove terapie cellulari per alcune patologie che colpiscono la retina.
Fino ad ora, i ricercatori hanno sostituito i fotorecettori morti o danneggiati nei modelli animali creando cellule staminali dalla pelle o dal sangue, programmandole per diventare fotorecettori e trapiantandole nella retina. Ma i protocolli di riprogrammazione delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPCS) possono richiedere anche sei mesi prima che cellule o tessuti siano pronti per il trapianto.
Nel nuovo studio, gli scienziati hanno dimostrato che è possibile saltare il passaggio intermedio delle cellule staminali e andare a riprogrammare direttamente le cellule della pelle in fotorecettori. La riprogrammazione diretta ha indotto le cellule della pelle a fotorecettori funzionali pronti per il trapianto in soli 10 giorni.
“Questo è il primo studio a dimostrare che la riprogrammazione chimica diretta può produrre cellule simili a quelle della retina, cosa che ci fornisce una nuova e più rapida strategia per lo sviluppo di terapie per la degenerazione maculare legata all’età e altri disturbi della retina causati dalla perdita di fotorecettori”, ha detto Anand Swaroop, Ph.D., ricercatore senior e capo del NEI Neurobiology, Neurodegeneration e Repair Laboratory, che ha caratterizzato le cellule dei bastoncelli riprogrammate mediante analisi dell’espressione genica.
“Si tratta di un risultato molto importante: nessuno finora era riuscito a ottenere fotorecettori con un salto così diretto nella riprogrammazione”, ha commentato Carlo Alberto Redi, direttore del Laboratorio di Biologia dello Sviluppo dell’Università di Pavia. Quanto emerso dal nuovo studio potrebbe “avere una portata rivoluzionaria soprattutto per l’ampio ventaglio di applicazioni terapeutiche, per gli occhi e non solo. Per questo motivo va accolto con cautela, – sottolinea l’esperto – visto il precedente drammatico del caso Stap”.
Il metodo di riprogrammazione lampo Stap, pubblicato nel gennaio 2014 su Nature dalla biologa giapponese Haruko Obokata, fu un vero e proprio scandalo mondiale. La tecnica prevedeva la generazione di cellule staminali pluripotenti sottoponendo cellule ordinarie a determinati tipi di stress esterni, come l’applicazione di una tossina batterica, l’immersione in un acido debole o un trauma fisico. Un metodo radicalmente più semplice rispetto ai metodi precedentemente studiati in quanto non richiedeva né il trasferimento nucleare né l’introduzione di fattori di trascrizione.
Dopo la pubblicazione su Nature, diversi scienziati hanno cercato di replicare i risultati ma senza riuscirci. Da qui, sono sorti sospetti sul fatto che i risultati di Obokata fossero sbagliati o manipolati. Così venne avviata un’indagine dallo stesso RIKEN, l’istituto di ricerca per cui lavorava la ricercatrice giapponese. Il 1° aprile 2014, il RIKEN ha concluso che Obokata aveva falsificato i dati per ottenere i suoi risultati e la ricercatrice accettò di ritirare le pubblicazioni. Lo scandalo portò al suicidio di Yoshiki Sasai, supervisore di Obokata al RIKEN e uno dei coautori degli articoli.
Se la tecnica di Obokata era da subito sembrata troppo semplice per essere vera, il nuovo metodo di riprogrammazione cellulare messo a punto dagli americani sembra decisamente più raffinato. Per la riprogrammazione diretta, le cellule della pelle sono state immerse in un cocktail di cinque piccoli composti molecolari che insieme mediano chimicamente l’attivazione dei geni tipici dei bastoncelli, un tipo di fotorecettori presenti nella retina. Dopo la trasformazione, i nuovi bastoncelli imitavano nell’aspetto e nella funzione i bastoncelli nativi. Per verificare la corretta trasformazione, i ricercatori hanno analizzato l’espressione genica delle cellule trasformate. Il profilo genico ha dimostrato che i geni espressi dalle nuove cellule erano simili a quelli espressi dai bastoncelli reali. Allo stesso tempo, i geni rilevanti per la funzione di cellule epiteliali erano stati sottoregolati.
Dopodiché, i ricercatori hanno trapiantato le cellule in 14 topi con degenerazione retinica e hanno testato i loro riflessi pupillari. In condizione di scarsa illuminazione, la costrizione della pupilla dipende dal funzionamento dei bastoncelli. Ad un mese dal trapianto, 6 topi su 14 (il 43%) hanno mostrato una forte costrizione della pupilla in condizioni di scarsa luminosità. Inoltre, il team ha rilevato che questi 6 topi erano quelli che con più probabilità cercavano e trascorrevano il tempo in spazi bui, rispetto ai topi trattati che però non avevano manifestato la costrizione della pupilla e rispetto anche ai topi che non erano stati trattati. Questa osservazione è rilevante perché il topo ha una tendenza naturale a cercare luoghi bui e sicuri rispetto a quelli più illuminati, ma questo comportamento richiede un’attività visiva funzionante.
“Anche i topi con degenerazione retinica gravemente avanzata, con poche possibilità di avere fotorecettori ancora vivi, hanno risposto al trapianto”, ha affermato il primo autore dello studio Biraj Mahato.
Tre mesi dopo il trapianto, gli studi in immunofluorescenza hanno confermato la sopravvivenza dei fotorecettori di laboratorio, nonché le loro connessioni sinaptiche con i neuroni nella retina interna.
Sono necessarie ulteriori ricerche per ottimizzare il protocollo per aumentare il numero di fotorecettori trapiantati funzionali. “È importante sottolineare che i ricercatori hanno scoperto come questa riprogrammazione diretta è mediata a livello cellulare. Queste intuizioni aiuteranno i ricercatori ad applicare la tecnica non solo alla retina, ma a molti altri tipi di cellule“, ha detto Swaroop.
“Se riusciremo a migliorare l’efficienza di questa conversione cellulare diretta, potremo accorciare i tempi per sviluppare modelli di malattia o potenziali terapie cellulari”, ha affermato Kapil Bharti, Ph.D., ricercatore senior e capo della Sezione di Ricerca Traslazionale Oculare e delle Cellule Staminali al NEI. Il team di ricerca sta pianificando una sperimentazione clinica per testare la terapia nell’uomo per le malattie degenerative della retina, come la retinite pigmentosa.