Robotica

Robot nuotatori per nuove strategie in ambito biomedico

Nell’uomo, la proprietà di autoguarigione è straordinaria e fondamentale. Anche in condizioni patologiche, questa capacità di autoregolazione spontanea permette al nostro corpo di raggiungere un nuovo equilibrio e di favorire, per quanto possibile, il recupero delle condizioni ottimali del nostro sistema. Non è un caso, infatti, che uno degli obiettivi della scienza sia quello di riuscire a riprodurre questa proprietà nei sistemi artificiali. Questo studio vede come protagonisti dei piccoli robot 2D, posti sulla superficie dell’acqua, in grado di autorigenerarsi dopo essersi rotti in diverse parti.

A cosa servono questi robot nuotatori?

Piccoli robot nuotatori possono rigenerarsi magneticamente dopo essersi rotti in due o tre pezzi. Credits: ACS

La capacità di questi sistemi artificiali di muoversi in un fluido ne permette un uso in diversi ambiti. Possiamo pensare, ad esempio, al loro impiego nella pulizia e salvaguardia ambientale, ad una loro somministrazione per favorire il monitoraggio o l’assunzione di farmaci, nel supportare alcuni delicati interventi chirurgici. Il loro uso, quindi, si dimostra versatile e di incredibile potenziale, e la loro realizzazione è stata eseguita, nella maggior parte dei casi, utilizzando polimeri fragili o idrogel morbidi, che possono facilmente rompersi o strapparsi.

Per questo motivo gli studiosi hanno ritenuto importante considerare un sistema di autorigenerazione che non fosse influenzato da fattori ambientali e che non richiedesse un intervento esterno da parte degli operatori. Il modello di robot ideato è lungo circa 2 cm ed ha proprio la forma di un pesce, in grado di nuotare nel fluido in cui è immerso. Questo è consentito grazie alla sua coda in platino che reagisce con un carburante di perossido di idrogeno e che dà origine alle bolle di ossigeno che spingono il robot a muoversi.

Al suo interno sono state incorporate delle microparticelle magnetiche che permettono una rapida riorganizzazione e riorientamento dei pezzi rotti, in grado di riattaccarsi ognuno al proprio posto e rigenerare completamente la struttura di partenza e la sua proprietà di propulsione. Il recupero quindi si dimostra sia strutturale che funzionale, indipendentemente dal tipo di input dell’utente.

Come influisce l’orientamento delle strisce magnetiche sulla capacità di autorigenerazione del sistema?

Comportamento di guarigione di diverse configurazioni di strisce magnetiche. Credits: ACS

Dalle indagini svolte sui piccoli robot in merito alla strategia di orientamento delle strisce magnetiche si evince che la coppia magnetica, molto probabilmente, allineerà i pezzi danneggiati in tutti gli orientamenti a brevi distanze mentre indurrà una guarigione molto limitata nelle grandi distanze, che quindi risultano essere sfavorevoli. Possiamo considerare quindi che ad una distanza sufficientemente ampia, i pezzi del robot non si sentono l’un l’altro, proprio perché la forza di attrazione magnetica è funzione della distanza. Tuttavia, quando la coda si avvicina al corpo, la forza magnetica riallinea i pezzi in modo che il movimento incorporato li riassembli e la riparazione possa avvenire in modo autonomo.

Come influisce il sito del danno sul riassemblaggio del robot?

Cosa succede, dunque, se il nuotatore si rompe in punti diversi? Dagli esperimenti condotti, gli studiosi hanno previsto tre condizioni di danno differenti: rottura a livello della coda, del corpo o della testa, come mostrato nella seguente figura. Si dimostra che in nessuno di questi tre casi si verifica una minor capacità di autorigenerazione del robot e che la sua capacità di propulsione, a valle della guarigione, risulta essere molto simile a quella originaria.

Influenza della posizione del danno sul comportamento di propulsione. Credits: ACS

A valle di quanto mostrato fino ad ora sappiamo che i vantaggi di questo esperimento sono notevoli, se consideriamo i tanti campi di applicazione di questi sistemi. Al contempo è fondamentale riconoscere la complessità della natura di questi processi, motivo per cui bisognerà eseguire numerosi altri test sulla propulsione e sulla guarigione in ambienti con viscosità, temperature e composizione chimica differenti rispetto a quella scelta e usata in questo studio.

Ci saranno altre sfide da affrontare ma, grazie alla sua versatilità, la nuova strategia di autoguarigione di sistemi artificiali non può che rappresentare un passo importante verso lo sviluppo di nuove strategie di riparazione per questi dinamici e intelligentissimi nuotatori su piccola scala.

Articolo a cura di Nicole Rinaldi

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