Il caso di Nicolò Zaniolo, calciatore della Roma classe 99, è solo l’ultimo di una lunga lista di atleti che, nel corso della propria carriera sportiva, hanno dovuto fare i conti con questo terribile infortunio: la rottura del crociato. Con questa espressione si fa comunemente riferimento alla lesione completa del legamento crociato anteriore del ginocchio, dal momento che la rottura del crociato posteriore è di gran lunga più rara.
Il calciatore, uscito in lacrime nel corso di Roma-Juventus, dovrà affrontare un’operazione di ricostruzione e la successiva riabilitazione. Per un infortunio del genere, i tempi di recupero si aggirano intorno ai 5-6 mesi, con casi del tutto eccezionali di 4 mesi e mezzo. Sembra che, dato l’elevato numero di partite e la maggiore intensità degli allenamenti e del gioco, questo infortunio sia in aumento negli ultimi anni tra i calciatori.
L’articolazione del ginocchio viene stabilizzata da 4 legamenti principali: 2 collaterali, situati uno sul lato esterno e uno sul lato interno del ginocchio, e 2 crociati (anteriore e posteriore) situati al centro dell’articolazione. La rottura del crociato anteriore è comune principalmente negli sport di contatto e può essere causata da un impatto violento, da rapidi cambi di direzione, e movimenti innaturali come torsioni o iperestensioni.
Al momento dell’infortunio, i principali sintomi sono una sensazione di cedimento accompagnata da forte dolore, gonfiore ed instabilità dell’articolazione. Inevitabilmente, ne risente la mobilità del ginocchio.
La diagnosi viene effettuata con test fisici eseguiti dall’ortopedico che permettono di capire quale sia il legamento interessato. Sarà poi necessaria una risonanza magnetica, ed eventualmente una radiografia se si sospettano danni alle ossa, per valutare l’entità della lesione e rilevare la presenza o meno di lesioni associate a carico dei menischi, dei legamenti collaterali o delle cartilagini.
Il crociato anteriore è quasi privo di vascolarizzazione, per cui non è in grado di autorigenerarsi in caso di lesioni. In linea di massima, la ricostruzione è quindi necessaria per i pazienti giovani che vogliono tornare all’attività agonistica, mentre per i pazienti, solitamente, oltre i 60 anni, intervento chirurgico viene valutato caso per caso.
La ricostruzione avviene in artroscopia, in modo minimamente invasivo, con l’innesto di una porzione di tessuto autologo (proveniente dal paziente stesso), eterologo (proveniente da un altro soggetto, solitamente un cadavere) o sintetico. Nella maggior parte dei casi viene utilizzato il tessuto autologo, in particolare i tendini gracile e semitendinoso insieme oppure il tendine rotuleo.
Fondamentale è, infine, una corretta ed adeguata riabilitazione. L’impianto da tendine rotuleo, ad esempio, indebolisce temporaneamente l’articolazione, ma risulta essere più sicuro e resistente.