Tra le principali ipotesi alla base dei meccanismi della sclerosi multipla (SM) c’è quella che attribuisce alle cellule che producono mielina un difetto intrinseco che non permetterebbe la ricostruzione della mielina danneggiata dalla malattia. Ma un nuovo studio smentisce la teoria: gli oligodendrociti delle persone con sclerosi multipla non sono diversi da quelli delle persone sane. Sembrerebbe essere l’ambiente infiammato in cui si trovano queste cellule la causa della loro mancata attività di rigenerazione della mielina.
Questo importante risultato è frutto di due studi internazionali che hanno visto la collaborazione tra ricercatori del San Raffaele di Milano e i colleghi dell’University Hospital di Münster, dell’ICM (Institut du Cerveau et de la Moelle épinière, l’Hôpital Pitié Salpêtrière) di Parigi e della McGill University di Montreal. Lo studio pubblicato il 4 dicembre 2020 sulla rivista Science Advances, conferma in vivo i risultati di un’indagine pubblicata lo scorso settembre dagli stessi ricercatori sulla prestigiosa rivista Acta Neurologica.
“Si tratta di una svolta importante nella comprensione dei meccanismi alla base della sclerosi multipla.” – professor Gianvito Martino, direttore scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
«La SM è sempre stata considerata una malattia della mielina, cioè una malattia che peggiora progressivamente proprio perché le cellule che producono mielina (gli oligodendrociti) non riescono più a produrne di funzionante. La causa di tutto ciò si era pensato potesse essere dovuta ad un difetto intrinseco degli oligodendrociti. Oggi grazie a questi studi sappiamo che non è così e che le cellule che producono mielina delle persone con SM non sono difettose in sé, anzi sono in grado di produrre mielina sana e funzionante. È l’ambiente infiammato in cui si trovano che ne condiziona l’efficienza rigenerativa», afferma il professor Martino, direttore scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
Ma che cosa sono gli oligodendrociti? Consideriamo la struttura di un neurone: questa è costituita da un soma con il nucleo, i dendriti e un assone. L’assone è il conduttore di impulsi attraverso cui il segnale si propaga. Nei vertebrati l’assone è rivestito da una guaina mielinica, una struttura biancastra con funzione isolante costituita da due tipi di cellule: le cellule di Schwann per gli assoni del sistema nervoso periferico e gli oligodendrociti per gli assoni del sistema nervoso centrale. Lungo l’assone sono presenti siti non mielinizzati chiamati “nodi di Ranvier”. I segnali neuronali, saltando da un nodo all’altro ed evitando i segmenti mielinizzati, vengono propagati con una conduzione saltatoria che ha il vantaggio di aumentare la velocità alla quale l’impulso viene trasmesso.
Gli studiosi hanno confrontato gli oligodendrociti derivati dalle cellule staminali pluripotenti indotte (iPS) di sei persone: tre con sclerosi multipla e tre sane. Dai risultati dello studio è emerso che le cellule delle persone con SM sono indistinguibili da quelle dei soggetti sani. La capacità di queste cellule di produrre mielina sembrerebbe compromessa solo dal fatto che queste si trovino a contatto con cellule infiammatorie. “I nostri risultati indicano che l’incapacità di rimielinizzazione che si osserva nelle persone con SM non è dovuta a differenze intrinseche degli oligodendrociti, ma piuttosto all’ambiente infiammatorio presente nelle lesioni di SM”, dicono le ricercatrici Tanja Kuhlmann (University Hospital Münster) e Anne Baron-Van Evercooren (ICM, INSER, Paris).
«Da quanto visto si evidenzia una volta di più che è il processo infiammatorio cronico che si sviluppa in corso di SM ad essere sul banco degli imputati e non le cellule che producono mielina. Un’infiammazione che c’è sin dall’emergere della patologia e che colpisce indiscriminatamente le cellule del sistema nervoso con cui viene a contatto, oligodendrociti o neuroni che siano. Da qui l’esigenza di sviluppare nuove terapie neuroprotettive in grado di bloccare il processo infiammatorio presente fin dall’esordio della malattia e la degenerazione dei tessuti che ne consegue, che poi è la responsabile ultima dei deficit neurologici che si sviluppano. Così facendo le cellule del sistema nervoso di persone con SM, che oggi sappiamo essere sane, possono tornare a fare il loro lavoro con efficienza», conclude il professore Martino.
I due studi sono stati portati avanti all’interno del progetto BRAVEinMS, sostenuto dalla International Progressive MS Alliance (PMSA), il cui coordinatore è proprio il professor Gianvito Martino. Il grande network collaborativo prevede la partecipazione di 13 gruppi di ricercatori e 8 centri in tutto il mondo con lo scopo di selezionare una serie di molecole neuroprotettive da utilizzare nel trattamento delle forme progressive di sclerosi multipla.