Illustrazione di un ragazzo sulla sedia a rotelle (Pixabay FOTO) - www.biomedicalcue.it
La sclerosi multipla è imprevedibile, ma questo particolare approccio permetterebbe di captare i primi segnali d’allarme.
Immagina di poter guardare dentro il cervello mentre una malattia prende piede, come se avessimo un time-lapse in quattro dimensioni che mostra cosa accade in tempo reale. Sembra fantascienza, vero? Eppure, un gruppo di ricercatori del National Institutes of Health (NIH) ha fatto proprio questo: hanno creato una mappa cerebrale 4D che potrebbe rivelare i primi segnali della sclerosi multipla (SM) molto prima che compaiano i sintomi. Una scoperta che potrebbe cambiare tutto.
La sclerosi multipla è una malattia autoimmune che attacca la guaina protettiva dei nervi, causando infiammazione e lesioni nel cervello. Il problema è che, quando i sintomi iniziano a farsi sentire, i danni sono già avanzati. Per anni, gli scienziati hanno studiato il cervello dei pazienti post-mortem, cercando di capire il meccanismo della malattia, ma questo metodo non permette di osservare le fasi iniziali del processo.
Ecco perché il team ha deciso di provare qualcosa di diverso. Hanno usato un modello animale innovativo: non i soliti topi da laboratorio, ma i marmoset, piccoli primati che hanno un cervello molto più simile a quello umano. Grazie a una combinazione di risonanza magnetica avanzata e analisi molecolari, sono riusciti a osservare in tempo reale come si sviluppano le lesioni tipiche della SM, individuando anche segnali precoci che potrebbero diventare bersagli per nuove terapie.
Ma la parte più affascinante? Hanno scoperto un tipo specifico di cellule cerebrali, gli astrociti, che potrebbero essere il vero “campanello d’allarme” della malattia. Prima ancora che i danni diventino visibili, questi astrociti si attivano e iniziano a segnalare che qualcosa non va. E se riuscissimo a fermarli in tempo?
Per capire cosa succede nel cervello di un paziente con sclerosi multipla, bisogna immaginare una città sotto assedio. Normalmente, il cervello è protetto da una barriera di cellule che impedisce agli agenti dannosi di entrare. Ma nel caso della SM, qualcosa va storto: il sistema immunitario decide che quella barriera è un nemico e comincia ad attaccarla. Grazie alla nuova mappa 4D, i ricercatori hanno osservato che alcune cellule del cervello, in particolare gli astrociti, iniziano a comportarsi in modo strano prima ancora che il sistema immunitario scateni il suo attacco. Un gene chiamato SERPINE1 si attiva e questi astrociti si ammassano vicino ai vasi sanguigni e alle cavità del cervello, come se stessero preparando il terreno per qualcosa di grosso.
E poi arriva l’infiammazione. Il sistema immunitario attraversa la barriera ematoencefalica e inizia a distruggere la mielina, il rivestimento protettivo dei neuroni. È qui che compaiono le lesioni, quelle macchie bianche visibili nelle risonanze magnetiche dei pazienti con SM. Ma il punto cruciale è che il team ha trovato un nuovo segnale MRI che potrebbe rivelare queste aree a rischio settimane prima che la distruzione diventi evidente. Questo significa che, in futuro, potrebbe essere possibile identificare la malattia molto prima che si manifestino i sintomi, aprendo la strada a trattamenti più tempestivi e, magari, a una strategia per bloccare la progressione della malattia sul nascere.
Gli astrociti sono sempre stati considerati “cellule di supporto” nel cervello, ma questa ricerca ha dimostrato che il loro ruolo potrebbe essere molto più importante, e forse anche un po’ ambiguo. Immagina di avere una squadra di vigili del fuoco che interviene quando c’è un incendio: se fanno il loro lavoro, contengono le fiamme e proteggono l’edificio. Ma se improvvisamente impazziscono e iniziano a buttare benzina sulle fiamme? Ecco, qualcosa di simile potrebbe succedere nel cervello con gli astrociti e la SM. Il team ha scoperto che questi astrociti attivati potrebbero avere una doppia funzione: da un lato cercano di riparare il danno, dall’altro potrebbero peggiorare la situazione accelerando il processo infiammatorio. Il loro accumulo nelle zone di confine delle lesioni suggerisce che potrebbero essere i responsabili sia del danno che della riparazione, e questo solleva una domanda fondamentale: possiamo trovare un modo per manipolarli a nostro favore?
Se fosse possibile controllare questi astrociti, potremmo non solo rallentare la malattia, ma forse addirittura promuovere la riparazione del tessuto cerebrale. Ed è qui che questa mappa cerebrale 4D potrebbe fare la differenza: fornire una guida per sviluppare terapie mirate, capaci di “suggerire” al cervello di guarire invece di distruggere. La ricerca è ancora agli inizi, ma le implicazioni sono enormi. E non solo per la sclerosi multipla: i meccanismi osservati potrebbero valere anche per altre malattie neurologiche, come il morbo di Parkinson o le lesioni cerebrali traumatiche. Insomma, questa mappa potrebbe diventare una risorsa preziosa per tutta la neurologia.