Un sensore per monitorare lo stato di guarigione delle fratture
Le fratture ossee sono tra le problematiche mediche più diffuse a livello mondiale. I dati del 2019 hanno evidenziano l’entità del fenomeno: 178 milioni nuove fratture avvenute nel corso dell’anno, ma oltre a queste, sono stati 455 milioni i casi di sintomi acuti o a lungo-termine ad esse dovuti.
La pratica clinica prevede ormai numerosi metodi di cura che, a seconda della severità del problema, possono variare dalla semplice immobilizzazione all’utilizzo di viti metalliche, chiodi intra-midollari o fissatori esterni. In tutti questi casi, comunque, risulta difficile il monitoraggio dello stato di guarigione, che può avvenire solo tramite esami diagnostici come risonanza magnetica o TAC.
I casi più gravi sono quelli in cui le fratture avvengono in pazienti affetti da osteopenia o osteoporosi: per questi si è stimato che il tempo di degenza in ospedale è più lungo che per gli infarti, il cancro al seno o alla prostata. Queste fratture sono anche la causa di elevata mortalità e di disabilità a lungo termine, fattore che peserà sulla spesa sanitaria con 25 miliardi di dollari all’anno nel 2025, seconda una stima del 2007.
Il dispositivo per monitorare le fratture
In questo contesto si inserisce il lavoro di un gruppo dell’Università dell’Arizona. Il dispositivo consiste in un sistema ultrasottile che una volta applicato nel sito di indagine comincia ad eseguire il proprio compito di monitoraggio dello stato di salute dell’osso (in termini di carico, deformazione, ma anche temperatura). È stato chiamato elettronica di superficie ossea (dall’inglese, osseosurface electronics) e ha delle dimensioni di 2.5 cm x 1.5 cm, con un peso di circa 170 mg.
La sua struttura molto sottile permette al dispositivo di aderire alla curvatura dell’osso, integrandosi completamente ad esso anche durante il processo di guarigione. Questo viene favorito anche dalla superficie con cui è costituito il device, ovvero con particelle di calcio fosfato che hanno una struttura simile alle cellule ossee e che vengono quindi riconosciute e integrate come se fossero parte effettiva del tessuto. Il dispositivo, inoltre, non necessita di batteria. Ciò è possibile grazie al metodo detto comunicazione di prossimità usato, ad esempio, anche per la tecnologia di pagamento contactless e che si basa su comunicazione a corto raggio.
Dopo essere stato testato su roditori, è stata approvata la sperimentazione anche su animali di grossa taglia, in particolare su omeri di pecora. I risultati sono stati anche in questo caso soddisfacenti, il che apre la strada allo studio su pazienti umani.
L’impiego del dispositivo permetterebbe di monitorare lo stato di guarigione dell’osso anche nel lungo periodo dopo gli interventi. Ciò risulta particolarmente utile anche per modificare il trattamento in base ai dati rilevati, ad esempio per decidere quando e se rimuovere le viti o placche di fissazione o come variare la terapia farmacologica.
Applicazioni simili e possibili sviluppi
Il sistema si basa su un sistema che ha come obiettivo il monitoraggio continuo dei parametri che in questo caso riguardano lo stato di salute dell’osso. Il concetto alla base è simile a molti altri dispositivi che basano il proprio successo sulla registrazione continua di informazioni che, altrimenti, potrebbero essere valutati solo tramite esami medici in condizioni isolate.
Il dispositivo più comune sono gli smart watch, che consentono di rilevare frequenza cardiaca, pressione e altri parametri, a seconda del modello, in continua. Nel settore dell’impiantabile, invece, sono già stati progettati e studiati alcuni device tra cui ImpACT per la rilevazione di processi biofisici cerebrali o un sensore per monitorare il flusso sanguigno.
L’elemento che li accomuna e che risulta vincente è la possibilità di avere un controllo continuo di tutti quei parametri che, altrimenti, potrebbero essere ricavati solo tramite esami. Inoltre la possibilità di segnalare tempestivamente alcuni valori fuori range e, quindi, fonti di rischio potrebbe salvare molti pazienti in condizioni critiche.
La sfida è rendere tutti questi dispositivi sicuri e riuscirne in un futuro ad abbassarne i costi in modo da renderli una pratica clinica comune e accessibile.
A cura di Linda Carpenedo.