Curiosità e consigli

Ti senti confuso, letargico o demotivato? Potresti avere la “sindrome del prigioniero”

Forse sembrerà strano ma dopo il lockdown molte persone sono rimaste a casa. Infatti, nonostante i mass media abbiano mostrato immagini di assembramenti in spiagge e discoteche per tutta l’estate, dai dati della Società Italiana di Psichiatria (SIP) si stima che siano stati circa un milione gli italiani che hanno avuto difficoltà a uscire dalle proprie mura domestiche. Questo fenomeno prende il nome di “sindrome del prigioniero”.

Che cos’è la sindrome del prigioniero?

Credits: Max Pepper/CNN

La sindrome del prigioniero (o cabin fever) è un fenomeno che può manifestarsi in seguito a lunghi periodi di distacco dalla realtà – come appunto quello a cui siamo stati sottoposti in occasione del lockdown – accompagnato dalla tendenza ad avvertire un senso di disagio, inquietudine o ansia quando si torna a uscire da casa. L’origine del termine sembra risalire al 1900, epoca della corsa all’oro negli Stati Uniti d’America, durante la quale i cercatori d’oro erano costretti a trasferirsi stabilmente in alcune località del Nord America dove gli inverni erano talmente rigidi da costringerli a vivere isolati per molti mesi all’interno delle loro capanne. Con l’arrivo della primavera, quando dovevano riprendere il lavoro, i cercatori mostravano sintomi di disorientamento, angoscia e paura anche in assenza di minacce, inducendoli a perpetuare l’isolamento.

“Probabilmente è una modifica temporanea, ma bisogna prenderne atto” ha affermato Laura Guaglio, psicologa e psicoterapeuta specializzata in gestione e superamento di eventi traumatici ed emotivamente stressanti, “la situazione che stiamo vivendo è talmente eccezionale e collettiva che il comprensibile timore, più o meno accentuato, di uscire di casa può essere una delle più comuni reazioni anche da parte di quelle persone che potremmo definire ‘emotivamente equilibrate’. La nuova realtà è impattante, può sconcertare, disorientare, potremmo rigettarla. A cui si sommano le paure sulle probabilità di un eventuale contagio”.

Quali sono le cause?

Creidts: Hunter French

Come già accennato tra le cause c’è sicuramente la paura del mondo esterno, poiché percepito come insidioso. A generarla non è solo il rischio di ammalarsi ma anche la possibilità di contagiare i propri cari. Inoltre, tale paura è dettata anche dal timore di non ritrovare il mondo che conoscevamo e nel quale ci sapevamo barcamenare ma anche dalla “non-accettazione” del dover convivere con mascherine, distanziamento sociale e altre misure di prevenzione a volte limitanti. Individualmente tutti possiamo agire per ridurre i potenziali impatti emotivi, psicologici e sociali che ha comportato COVID-19 con il suo avvento, ma come?

  • Stabilendo una routine: il cervello ha bisogno di routine per gestire il tempo e sentirsi al sicuro. Pertanto, è fondamentale dedicarsi al lavoro – la produttività, infatti, ci aiuta a scongiurare la noia – alla casa e anche all’attività fisica, che non solo ci permettono di mantenere la forma, ma migliora soprattutto l’umore, stimolando il cervello alla produzione di endorfine e serotonina.
  • Mantenendo il contatto sociale: perché si sa, l’uomo per definizione è un “animale sociale”, pertanto ha bisogno di comunicare e cooperare con altri individui ai fini della sopravvivenza stessa. È importante, perciò, sfruttare la possibilità di potersi connettere con i propri amici e parenti tramite i vari social media, chat e videochiamate così da limitare e arginare in qualche modo la solitudine.

Un ulteriore accorgimento da non sottovalutare è l’accesso a informazioni accurate e realistiche sulla pandemia che potrebbe aiutare a evitare di sviluppare ansie, paure o isteria e ad accettare e metabolizzare quello che sta realmente succedendo.

È importante rispettare i propri tempi, i propri vissuti emotivi e conservare le abitudini “positive” riscoperte in quarantena e ricordare a se stessi che le emozioni sono completamente valide.

Articolo a cura di Giulia Scannapieco.

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