Insufficienza cardiaca: ecco Il soft robot che aiuta il cuore a battere
Articolo di Chiara Rizzo.
L’immaginario collettivo è ricco di immagini di robot rigidi, capaci di svolgere le più svariate mansioni, ma siamo in grado di immaginare dei soft robot, morbidi al tatto capaci di interagire con gli umani?
La soft robotica è un recente campo che prevede l’utilizzo di materiali deformabili come siliconi, plastiche e gomme; consente lo svolgimento di azioni dinamiche come la manipolazione di oggetti, la locomozione in terreni accidentati, il contatto fisico con cellule viventi e corpi umani. Essa prevede l’utilizzo di attuatori modellabili e leggeri, costituiti da matrici elastomeriche e materiali flessibili, fabbricati mediante tecniche di stampaggio.
Tale tecnologia presenta innumerevoli applicazioni, tra le quali un dispositivo di assistenza in grado di fornire ausilio a pazienti con ridotte capacità motorie della mano a causa di ictus con esiti di una emiparesi, distrofia muscolare o sclerosi amiotrofica laterale. Un vero e proprio guanto soft robotico, che consenta di svolgere le normali attività della vita quotidiana che diversamente risulterebbero fortemente compromesse, progettato da Conor Walsh e un team di ingegneri del Harvard University School of Engineering and Applied Sciences (SEAS) e del Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering.
E’ dalla stessa Harvard University School of Engineering and Applied Sciences che proviene una recentissima applicazione di soft robotica, progettata dall’ingegnere biomedico Ellen T. Roche e il suo team.
Un soft robot impiantabile, in grado di ripristinare l’insufficienza cardiaca, ovvero l’incapacità del cuore di pompare sangue sufficiente al corpo, causa di disabilità o morte.
Attualmente, i pazienti che soffrono di grave insufficienza cardiaca, sono sottoposti a trapianto, oppure si adoperano dispositivi di assistenza ventricolare per assistere meccanicamente il cuore, in attesa del trapianto o per tutta la vita del paziente. Tale metodo d’altra parte, nonostante i miglioramenti progettuali, non limita il contatto tra sangue e superfici artificiali, per cui necessita di trattamenti anti-coagulanti a lungo termine per il paziente. Infine, mediante tale tecnica, il rischio di eventi tromboembolici può verificarsi fino al 20% dei casi.
Questo limite risulta essere ampiamente superabile mediante le tecniche di robotica morbida, come descritto dallo studio effettuato dall’Ing. Ellen T. Roche e pubblicato sul Science Translational Medicine. E’ stato quindi sviluppato un manicotto in silicone, in grado di rivestire il cuore e che ne mima perfettamente le proprietà e il movimento naturale dell’organo. Esso replica le contemporanee compressioni e torsioni naturali del cuore, grazie ad attuatori pneumatici circolari ed elicoidali incorporati in una matrice elastomerica a due strati separati e combinati tra loro.
Il dispositivo è in grado di adattarsi perfettamente al cuore del paziente e di rispettarne le sue dimensioni, senza alterarle, così da realizzare un manicotto “su misura” al suo cuore. D’altra parte, tale metodo innovativo non prevede il contatto di fluidi sanguinei con il dispositivo impiantato, ciò quindi non comporterebbe trattamenti anti-coagulanti, riducendo così i costi della terapia e migliorando efficacemente la vita del paziente cardiopatico.
Precedenti dispositivi di assistenza cardiaca esterni hanno imposto movimenti non fisiologici al cuore, fallendo così nella perfetta imitazione del suo movimento compiuto. Invece le tecniche di soft robotica, consentono l’azionamento degli attuatori del dispositivo in maniera indipendente, in tempi e pressioni tali da ottimizzare la sequenza del battito cardiaco, senza sostituire l’azione compiuta dal cuore, anzi incrementandone la sua normale attività.
La modularità è la caratteristica peculiare del dispositivo biomedico presentato, in grado di garantire assistenza univentricolare oltre che biventricolare, aumentare o modificare l’azione degli attuatori mediante l’interazione con apposito software in grado utilizzare dati come pressione e flusso sanguigni, oppure provenienti da ECG. In termini di sicurezza, possono essere integrati meccanismi in grado di rilevare eventuali perdite o guasti degli attuatori, disattivare il singolo attuatore se necessario, in modo che il secondo possa assumere la sua funzione.
Si tratta di un decisivo progresso per la medicina traslazionale, che introduce nuovi modi di concepire robot, in grado questa volta di interagire attivamente con l’uomo.
Interessante, vero?