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SPED: lo strumento di diagnosi che si autoalimenta… fatto di carta

SPED: lo strumento di diagnosi che si autoalimenta fatto di carta

SPED: lo strumento di diagnosi che si autoalimenta fatto di carta. Questo dispositivo può essere collegato ad un potenziostato portatile (a sinistra) per automatizzare i test diagnostici in modo che possano essere eseguiti anche da utenti non addestrati. (Purdue University photo/Aniket Pal)

Che cosa meglio della carta poteva essere utilizzato per realizzare un dispositivo poco costoso, leggero e facile da smaltire? Sviluppato nell’ottica del Point of Care Testing (POCT), un gruppo di ricercatori della Purdue University (West Lafayette, Indiana) ha dato vita a SPED (Self-Powered, Paper-Based Electrochemical Device). Questo nuovo strumento di diagnosi si presenta come un foglietto in grado di identificare diverse malattie attraverso analisi elettrochimiche. I dettagli sono stati pubblicati sulla rivista Advanced Materials Technologies.

Abbiamo già visto alcuni sviluppi, nel campo della diagnostica, volti ad una maggiore accessibilità anche per i Paesi meno avanzati. Ne sono un esempio il dispositivo per testare sifilide e HIV attraverso il proprio smartphone ed il Pocket Colposcope.

Diagnosi alla portata di tutti

Componenti SPED
Componenti principali dello SPED: (partendo da sinistra) un chip, un generatore triboelettrico (TEG) ed il foglietto con 4 aree per l’analisi elettrochimica e 10 zone colorate per la codifica dei risultati
(Purdue University)

Moltissime persone, in tutto il mondo, non hanno accesso ai più moderni e sofisticati servizi medici, dalle basi militari ai villaggi più remoti. In questo contesto si inserisce SPED, una sorta di laboratorio portatile che non richiede fonti esterne di energia elettrica, acqua pulita o attrezzature aggiuntive.
Come già accennato, questo strumento vuol essere sensibile al Point of Care Testing, che consiste nella diagnosi effettuata direttamente al punto di cura del paziente, con risultati disponibili immediatamente, o comunque in un breve lasso di tempo. La semplicità di utilizzo, inoltre, consente l’accesso anche a persone non addestrate.

Potresti considerare questo un laboratorio portatile che è completamente fatto di carta, poco costoso e può essere smaltito attraverso l’incenerimento.

Afferma Ramses V. Martinez, un professore assistente di ingegneria industriale e biomedica presso la Purdue University.

Il funzionamento del dispositivo si basa sul rilevamento di specifici biomarcatori e l’identificazione delle malattie attraverso analisi elettrochimiche. Nello specifico, per effettuare il test è necessario mettere una goccia di sangue in una delle quattro zone circolari. Lo strato superiore dello SPED è costituito da carta di cellulosa non trattata che presenta canali microfluidici idrofobici capaci di trasportare il campione di sangue. Questi canali permettono un’accurata analisi dei risultati, che si presentano attraverso il cambiamento dei colori delle 10 zone centrali. La semplice codifica consente l’interpretazione anche ad un personale non addestrato. Così fatto, il dispositivo è compatibile con le comuni tecnologie di stampa di massa, come la stampa roll-to-roll o a getto di inchiostro.

Per quanto riguarda l’alimentazione, questa si basa sul semplice tocco dell’utente. Lo strato inferiore dello SPED consiste, infatti, in un generatore triboelettrico (TEG) che genera la corrente elettrica necessaria per eseguire il test diagnostico semplicemente strofinandolo o premendolo. Questo è reso possibile grazie all’effetto triboelettrico, ovvero il trasferimento di cariche elettriche tra due corpi di materiale diverso, di cui almeno uno isolante, quando vengono strofinati fra loro, o anche messi a contatto e allontanati.

I ricercatori hanno anche realizzato un piccolo potenziostato, da affiancare allo SPED, al fine di automatizzare i test diagnostici. La batteria che alimenta questo strumento viene ricaricata dal TEG, escludendo quindi l’utilizzo di generatori esterni.

Gli SPEDs sono stati utilizzati per rilevare biomarcatori quali glucosio, acido urico e L-lattato deidrogenasi, chetoni e globuli bianchi, che indicano fattori correlati alla funzionalità epatica e renale, malnutrizione e anemia. L’obiettivo futuro è quello di migliorare la tecnologia per poter effettuare test più complessi per individuare malattie come la febbre dengue, la febbre gialla, la malaria, l’HIV e l’epatite.