Non è una novità che nel mondo l’accesso alle cure mediche sia estremamente eterogeneo e non equo. Se da una parte alcuni stati hanno a disposizione tecnologie mediche estremamente avanzate, come ad esempio robot chirurgici, paesi poveri, in guerra o in preda a calamità naturali non sono in grado di garantire alla propria popolazione la possibilità di sottoporsi ad adeguate e sicure cure chirurgiche. Questo vale anche per operazioni di routine, come potrebbe essere il trattamento di una frattura. Per cercare di superare o almeno mitigare questo problema è nata SurgiBox.
SurgiBox condivide il suo nome con l’omonima incorporation, fondata e amministrata dall’ideatrice di questo geniale dispositivo: la dottoressa Debbie Lin Teodorescu. Si tratta di una vera e propria piccola sala operatoria portatile, trasportabile addirittura all’interno di uno zaino. Questa stanza itinerante porta con sé diversi aspetti innovativi, tra cui l’idea di poter operare anche fuori da un’ambiente prettamente ospedaliero, ma soprattutto con un livello di sterilità e sicurezza comparabili ad una sala chirurgica.
SurgiBox nasce da un progetto della dottoressa Teodorescu all’epoca della sua specializzazione in medicina presso l’Harvard Medical School. A partire da seminari seguiti in università e dall’attività diretta come medico sul campo in occasione del terremoto ad Haiti nel 2010, la specializzanda inizia ad applicarsi nell’ambito della chirurgia di urgenza e in ambienti chirurgici contaminati. L’obiettivo del progetto, che ben presto si trasforma in una collaborazione dinamica multi-centro, è rendere possibile e sicura la chirurgia in zone senza ospedali o in gravi difficoltà a causa di guerre, calamità naturali o in generale situazioni di emergenza umanitaria.
Durante il progetto Teodorescu entra a contatto con moltissimi leader nel campo della medicina, della tecnologia, militare e politico. Questo le permette di raccogliere informazioni per lo sviluppo della sua idea, capendo criticità e necessità nei vari ambiti. Ciò che in particolare intuisce tramite le interviste che conduce è la difficoltà nel costruire ambienti operatori ad alto funzionamento in molte aree del mondo in cui vi sono, ad esempio, disfunzioni nelle linee di trasporto ed elettriche.
Un altro aspetto rilevato come fondamentale e critico è costruire ambienti chirurgici sicuri. Questo vale non solo per il paziente, ma anche per gli operatori stessi, che in assenza di adeguate protezioni possono infettarsi entrando a contatto con i fluidi corporei dei propri assistiti. Raccogliere tutte queste informazioni tramite interviste ad esperti permette di plasmare e modellare SurgiBox, dai prototipi delle origini sino al prodotto sul mercato. Ma com’è fatto?
SurgiBox è un campo operatorio gonfiabile e portatile. Consiste in una tenda trasparente in plastica, che si può aprire utilizzando batterie ricaricabili a ricarica solare. Il processo di preparazione della sala portatile è molto rapido e permette un pronto intervento, senza interrompere il flusso chirurgico. SurgiBox viene gonfiato e degli adesivi aderiscono alla pelle del paziente: si va così a creare un ambiente completamente sterile attorno al sito anatomico da operare, raggiungibile dai chirurghi tramite accessi laterali del dispositivo.
Il progetto si è arricchito a partire dal 2018 grazie alla collaborazione con il laboratorio D-Lab del MIT. L’intervento di ingegneri meccanici ha permesso di introdurre alcune novità e miglioramenti al design del dispositivo in modo da renderlo più versatile e portatile. Il prototipo di SurgiBox prevedeva una cornice rettangolare in plastica, a costituire una sorta di ossatura. Sulla cornice si posizionava la tenda, in un materiale poroso in grado di filtrare parzialmente gli agenti esterni. Il telaio era dotato di un ventilatore, per garantire ottime condizioni ambientali, e di un filtro per l’aria agente a livello particellare.
Oggi SurgiBox è molto più versatile e facilmente trasportabile dato che la struttura portante, la parte più ingombrante, è stata rimossa. Pesa circa 5 kilogrammi e si può trasportare abbastanza agilmente in uno zaino con una capienza di 30 litri. Il nuovo design prevede quindi una semplice tenda gonfiabile con le stesse proprietà tissutali, a livello microscopico, dei teli usati durante gli interventi in ambito ospedaliero.
Il dispositivo riesce tramite un ventilatore e un filtro a garantire le corrette condizioni termo-igrometriche, cioè di temperatura e umidità, e la depurazione da inquinanti. Questo sistema, comparabile a quello ospedaliero, è alla base della sua possibile applicazione in ogni condizione ambientale. In particolare, SurgiBox utilizza un filtro HEPA (High Efficiency Particulate Air). Esso garantisce alta efficacia contro le sostanze inquinanti più sottili, riuscendo a filtrare il 99.97% delle particelle, con un diametro fino a 0.3 micron.
Pensato principalmente per procedura addominali, al petto, pelviche e ortopediche, SurgiBox permette di portare la chirurgia in qualunque area del mondo, soprattutto in quegli stati in cui la spesa statale sanitaria è carente e il tasso di infezione operatoria elevato. Nel 2015 una commissione del Lancet ha riportato stime sconfortanti, con oltre 85 mila persone infettate nei luoghi di operazione e circa 18 milioni a cui non sono nemmeno garantite operazioni di routine. Questa sala operatoria trasportabile nasce da questo contesto, al fine di dare aiuto chirurgico a tutti.
SurgiBox, oltre ad avere un importante impatto a livello umanitario, ha inoltre rivoluzionato completamente il paradigma di sterilità. Se in generale siamo abituati a pensare ad un’intera stanza sterile per operare, l’idea di questo dispositivo è di portare la sala operatoria alla dimensione del paziente. Questo permette di non dover gestire la sterilità e ciò che accade in tutto un locale, ma soltanto attorno alla zona di incisione.
Priva di un tavolo operatorio, questa vera e propria sala operatoria garantisce pronti interventi ovunque, nella massima sicurezza sia del paziente che del chirurgo. Per ottenere tutto questo, partito come semplice progetto universitario, è stata necessaria l’idea iniziale della dottoressa Teodorescu, ma anche il dialogo e la cooperazione con tantissime figure professionali, che lo hanno reso una tecnologica biomedicale etica, semplice ed efficace.