ingegneria biomedica e clinica

    Ultrasuoni utilizzati per la riattivazione cerebrale di un cervello in coma

    Ultrasuoni terapeutici per “risvegliare” un cervello in coma

    Partiamo con ordine: cosa sono gli ultrasuoni?
    Gli ultrasuoni sono onde acustiche con una frequenza che convenzionalmente è fissata intorno ai 20 kHz, per differenziarle dalle onde invece acustiche, percepibili quindi dall’orecchio umano.
    In particolare nell’ambito medico la frequenza utilizzata varia dai 20 kHz ai 2 MHz.
    Come tutte le onde, anche quelle ultrasoniche (US) sono soggette ai fenomeni di rifrazione, riflessione e diffrazione, oltre ad essere definite mediante i soliti parametri: lunghezza d’onda, frequenza, velocità di propagazione, intensità ( dB) e attenuazione, la quale dipende dall’impedenza acustica del materiale attraversato dalle onde.

    In ambito medico, le US vengono impiegate sostanzialmente in due campi ben distinti: nella realizzazione di immagini con finalità diagnostica e nella terapia.
    L’esame più comunemente conosciuto è l’ecografia, in particolare nel reparto di ostetricia, ma viene sfruttato anche per diagnosi in campo cardiaco.

    Restart di un cervello per superare il coma

    Quanto seguirà è successo in America, nell’University of California di Los Angeles (UCLA), dove un team di ricercatori ha sperimentato, per la prima volta e con successo, un modo per far “ripartire” un cervello appena uscito dal coma.
    Il paziente in questione è un ragazzo di 25 anni, sottoposto ad una serie di impulsi ad ultrasuoni, chiaramente sotto il monitoraggio costante del personale ospedaliero.

    “È stato come riaccendere di colpo i neuroni, e riportarli in funzione”

    racconta Martin Monti, ricercatore della Ucla e coordinatore dell’esperimento

    Martin Monti, Professore presso la University of California Los Angeles (UCLA) nei dipartimenti di Psicologia e Neurochirurgia.
    Martin Monti, Professore presso la University of California Los Angeles (UCLA) nei dipartimenti di Psicologia e Neurochirurgia.
    newsroom.ucla.edu

    “Fino ad oggi esisteva un unico modo per farlo, ma si tratta di un’operazione chirurgica impegnativa, che prevede di impiantare degli elettrodi direttamente all’interno del talamo. Il nostro approccio, al contrario, è completamente non invasivo”.

    Lo studio, pubblicato sul Bain Stimulation, si è basato su una tecnica chiamata Low-Intensity Focused Ultrasound Pulsation, inventata dagli stessi ricercatori della UCLA; i vantaggi che offre sono innumerevoli, primo tra tutti la non invasività e l’assoluta mancanza di rischio, seguito poi dalla possibilità di modulazione.
    In precedenza, questa stessa tecnica fu applicata anche per ridurre crisi epilettiche in pazienti affetti da epilessia.

    La procedura ha previsto l’uso di una sorta di disco, puntato direttamente sul talamo del paziente appena uscito dal coma, in grado di creare un fascio di ultrasuoni ben mirati.
    Il trattamento, in particolare, è stato effettuato per 10 volte, ognuna per 30 secondi per un periodo totale di 10 minuti, con risultati eccezionali: infatti, dopo un solo giorno di trattamento si sono verificati segnali di miglioramento e a soli tre giorni dalla terapia il paziente era tornato ad avere una normale condizione di coscienza e di comprensione linguistica. Poteva muovere la testa correttamente per dire “si” o “no” e ha persino sferrato un pugno ad uno dei medici.

    Stimolazione diretta del talamo tramite la Low-Intensity focused ultrasound pulsation
    Stimolazione diretta del talamo tramite la Low-Intensity Focused Ultrasound Pulsation (Ultrasuoni a bassa intensità)
    thescienceexplorer.com

    Nonostante i risultati estremamente soddisfacenti, i ricercatori placano gli animi, asserendo che sono necessari ulteriori studi per confermare l’effettiva validità della terapia.

    “E’ possibile essere incappati in un caso molto fortunato, con un paziente sottoposto a stimolazione proprio nello stesso istante in cui lui stesso si stava riprendendo spontaneamente”

    spiega Monti, il quale chiarisce che l’intera terapia potrebbe dare nuove speranze di recupero per coloro che sono intrappolati nelle profondità di coma.

    Se lo studio avrà successo, sarà dunque possibile creare un dispositivo simile ad un casco, accessibile a tutti, da poter utilizzare comodamente a casa, senza recarsi costantemente in ospedale.

    Gli stessi ricercatori della UCLA hanno inoltre avviato uno spin-off per poter riprodurre il dispositivo appena descritto.

    LOW-INTENSITY FOCUSED ULTRASOUND PULSATION (LIFUP)

    La tecnologia della neuromodulazione ( ovvero un insieme di modificazioni della trasmissione degli impulsi nervosi indotte a scopo terapeutico, sia a livello del sistema nervoso centrale che periferico, mediante stimolazione elettrica o somministrazione di farmaci) offre un vantaggio notevole rispetto al trattamento farmacologico, in quanto la sua influenza sui circuiti neuronali è più diretto e focalizzato.
    Queste caratteristiche la rendono attraente sia per i neuroscienziati che per i clinici, in quanto può essere utilizzato per diagnosticare malfunzionamenti e modificare i meccanismi biologici neurologici e psichiatrici.

    Ma quali sono i vantaggi della LIFUP nella neuromodulazione e nella stimolazione cerebrale?
    Attualmente sono sul mercato diversi tipi di tecniche di neuromodulazione invasive chirurgiche: la stimolazione del nervo vago (VNS), la stimolazione cerebrale profonda (DBS), impiantato di stimolazione elettrocorticale (IES) e la stimolazione epidurale corticale (ECS).
    Inoltre, esistono anche diverse tecnologie di neuromodulazione minimamente invasive, come la TMS, la stimolazione a elettroterapia craniale (CES), la stimolazione transcranica a corrente continua (tDCS) e la stimolazione del nervo trigemino (TNS).

    Come si può evincere da questo elenco, le tecniche di neuromodulazione e stimolazione cerebrale sono molteplici.
    Gli US possono penetrare il cranio e possono essere utilizzati per ablazioni, sfruttandone le proprietà termiche ( HIFU, High Intensity Focused Ultrasound).
    Sono inoltre onde acustiche, non magnetiche, quindi possono essere utilizzate con successo simultaneamente e facilmente al fMRI (functional Magnetic Resonance Imaging), per la mappatura ad alta risoluzione del cervello.
    L’utilizzo congiunto delle due le tecniche, cioè l’ablazione con HIFU, guidata da risonanza magnetica funzionale, è stato utilizzato sperimentalmente per sradicare tumori cerebrali.

    LIUFP utilizzata simultaneamente alla rtfMRI imaging.
    LIUFP utilizzata simultaneamente alla rtfMRI immagini.
    https://www.researchgate.net

    Permangono comunque diverse questioni ancora aperte, prima che l’uso di LIFUP negli esseri umani a fini diagnostici e terapeutici possa diventare una realtà.
    -In primo luogo, gli ultrasuoni hanno effetti reversibili sulla conduttività neuronale: qual è la natura degli effetti?
    -In secondo luogo, può la LIFUP produrre effetti sul tessuto cerebrale visibili tramite fMRI?
    -In terzo luogo, quali parametri (come ad esempio, intensità, frequenza e durata di ultrasuoni scoppia e la lunghezza dell’intervallo dell’impulso) dovrebbero essere utilizzati sia per la stimolazione o inibizione del tessuto neuronale?
    -In quarto luogo, è possibile che la LIFUP penetri il cranio in modo analogo alla HIFU?

    Le risposte a tutte queste domande sono state affrontate di recente e tuttora sono oggetti di studio.

    Nanotecnologia

    Nanotecnologia: cancro sempre più curabile

    La nanomedicina è l’applicazione medica della nanotecnologia, ossia una branca del campo tecnologico che progetta e realizza dispositivi con dimensioni inferiori al nanometro( cioè un miliardesimo di metro ), come ad esempio strumenti diagnostici e sistemi farmacologici.
    Lo scopo dell’utilizzo di dimensioni così ridotte, che si aggirano intorno a 1/80.000 dello spessore di un capello, è che possono interagire a livello fisico con ciò che abbiamo di più piccolo nel nostro organismo: le cellule, le quali possiedono un un diametro che va all’incirca dai 10.000 ai 20.000 nanometri.
    Gli scienziati in campo biomedicale lavorano su dimensioni intorno ai 100 nanometri, permettendo così ai propri “prodotti” di entrare nelle cellule e interagire, volendo, anche con il DNA stesso.

    Marco Foiani, biologo molecolare.
    Marco Foiani, biologo molecolare.
    wisesociety.it

    Marco Foiani, direttore dell’Istituto FIRC di oncologia molecolare e vicepresidente del Centro europeo di nanomedicina (CEN), spiega che un’applicazione pratica della nanotecnologia potrebbe essere lo sviluppo di nanosensori “capaci di identificare i marcatori biologici di una malattia”, come ad esempio il cancro, ma non solo.
    Tuttavia, la vera sfida non risiede nell’idea in sè, quanto nello studio dell’interazione tra la tecnologia in questione e l’ambiente biologico; a dimensioni così ridotte, infatti, le nanoparticelle obbediscono ad una fisica diversa da quella classica, che pertanto deve essere studiata accuratamente nei minimi dettagli, come già sta accadendo.
    Inoltre, a dimensioni tali, le nanoparticelle potrebbero essere espulse dall’organismo ancor prima che possano compiere il loro lavoro, rendendo vano l’intero esperimento.

    Il cancro

    “La malattia oggi può essere riconosciuta, nella maggior parte dei casi, solo quando assume dimensioni macroscopiche ma noi sappiamo che è provocata, ai suoi esordi, da alterazioni molecolari a livello del DNA”

    spiega sempre Marco Foiani.
    Come già detto, il cancro deriva da alterazioni molecolari nel DNA e la vera svolta avverrebbe nel caso in cui le nanoparticelle potessero penetrare all’interno delle cellule, così da scoprire l’origine di questa alterazione molto prima che si formino ammassi tumorali più o meno consistenti.
    A tal proposito, i ricercatori della Wake Forest Baptist Medical Center, nel North Carolina, hanno messo a punto una nuova tecnologia che permette di rilevare la malattia attraverso i suoi biomarcatori in forma di acidi nucleici.

    “Immaginiamo questa tecnologia come un punto di partenza fondamentale e una forma di diagnostica non invasiva che possa rilevare qualunque tipo di malattia,dal cancro al virus dell’Ebola”

    ha asserito Adam R. Hall, Ph.D., assistente professore di ingegneria biomedica al Wake Forest Baptist e principale autore dello studio.
    Gli acidi nucleici sono costituiti da sequenze ben precise di basi e si estendono in catene più o meno lunghe, con un ordine esatto; sono, inoltre, i portatori delle caratteristiche genetiche di ogni individuo.
    L’ordine seguito dalle basi dipende strettamente dalle loro funzioni: ciò significa che, studiandolo, è possibile comprendere ciò che sta succedendo all’interno delle cellule e, di conseguenza, dei tessuti stessi.
    Per fare un esempio, gli acidi nucleici noti come microRNAs sono costituiti da circa 20 basi, ma il loro diverso ordine nella catena può segnalare la presenza di una vasta gamma di malattie, compreso il cancro.

    Lo scopo dello studio è proprio quello di cercare di individuare, attraverso le nanoparticelle, la presenza di una sequenza ben precisa di acidi nucleici che costituisca un possibile “bersaglio”: nel caso sia presente verrebbe percepito un segnale, in caso contrario non si avrebbe nulla.
    In un secondo momento, semplicemente contando il numero dei segnali, si può determinare la dimensione del suddetto “bersaglio”.

    Nanoparticelle attaccano il cancro
    Nanoparticelle attaccano il cancro.
    https://taawaciclos.wordpress.com

    Lo studio ha dimostrato che questa tecnica può essere effettivamente utilizzata con successo, tanto che è stata testata per identificare il microRNA ( mi-R155 ), conosciuto come identificatore del cancro polmonare negli esseri umani.
    D’altro canto la diagnostica non è l’unico ambito in cui si può usufruire delle nanotecnologie: possono essere utilizzate anche nella cura stessa del cancro.

    I metodi convenzionali di trattamento mediante radioterapia sono spesso tossici per l’organismo a causa dell’esposizione ad un alto dosaggio di radiazioni, al fine di raggiungere efficacemente la maggior parte degli ammassi tumorali; ciò, tuttavia, causa effetti collaterali anche sulle parti sane dell’organismo.
    Con lo sviluppo della nanotecnologia si potrebbe sfruttare un nano dispositivo che non solo funga da veicolo per il medicinale, ma che sia anche in grado di attaccare selettivamente le cellule malate, trascurando quelle sane.
    Il concetto di selettività risulta quindi essere davvero importante e fondamentale.

     

    Trattamento del cancro con nanoparticelle
    Trattamento del cancro con nanoparticelle.
    www.slideshare.net

    Questo permetterebbe al paziente di essere esposto ad una quantità significativamente minore di radiazioni rispetto a ciò che avviene attualmente, in quanto ne verrebbe utilizzata una quantità necessaria solo ad attivare le nanoparticelle ( precedentemente iniettate direttamente nel tumore), le quali produrrebbero molti più radicali liberi localizzati sulle cellule infette, preservando quelle sane.


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