La teoria degli specchi infranti
La scoperta dei neuroni specchio ha dato il via a diverse aree di ricerca nel campo della neurobiologia. Una di queste riguarda l’attribuzione dei deficit sociali, tipici del disturbo autistico, a un malfunzionamento di queste cellule cerebrali, la cosiddetta teoria degli specchi infranti. Vediamo cosa sono i neuroni specchio e che relazione esiste con i disturbi dello spettro autistico.
Cosa sono i neuroni specchio
Le prime scoperte sui neuroni specchio risalgono all’anno 2000, quando il gruppo di ricerca dell’Università di Parma, guidato da Giacomo Rizzolatti, iniziò ad analizzare alcuni schemi comportamentali dei macachi, in particolare quello imitativo. È ormai nota l’esistenza di particolari neuroni situati nella corteccia premotoria, chiamati neuroni di comando motorio, implicati nel controllo dei movimenti volontari. Quello che sorprendentemente emerse dal cervello delle scimmie fu l’attivazione di una parte di questi neuroni sia nel compiere un movimento, sia nell’osservare l’azione compiuta da un altro. Tecniche di visualizzazione del cervello, quali la risonanza magnetica funzionale (fMRI), la stimolazione magnetica transcranica (TMS) o l’elettroencefalografia (EEG), hanno mostrato come questi neuroni si trovino anche in alcune aree del cervello umano: la corteccia premotoria, cingolata anteriore e insulare. Sono stati così chiamati neuroni specchio, ossia neuroni motori che si attivano sia quando un soggetto esegue un’azione, sia quando vede un’altra persona eseguire un’azione simile con lo stesso scopo. Negli anni è stato riscontrato come questo meccanismo non sia presente solo nelle aree motorie, ma anche nella sfera emozionale. Il sistema specchio ha delle implicazioni notevoli nel campo della psicobiologia, essendo considerato un meccanismo di comprensione dell’altro, come te stesso. In altre parole, i neuroni specchio permettono all’osservatore di comprendere l’esperienza del soggetto che ha di fronte, simulando mentalmente l’azione ed immedesimandosi in esso.
Il sistema specchio acquisì sempre più importanza come fondamento delle interazioni sociali e dell’empatia, nonché nell’imitazione di movimenti. Proprio in questo contesto è sorta intuitivamente una probabile relazione con i deficit sociali, riscontrabili nei disturbi dello spettro autistico, come descritto nello studio di V. Ramachandran e L. Oberman (UC San Diego) pubblicato sulla rivista Le Scienze nel dicembre 2006.
La teoria degli specchi infranti
I disturbi dello spettro autistico sono un insieme eterogeneo di disturbi dell’età evolutiva, caratterizzati da una compromissione delle capacità comunicative e sociali, derivanti dalla difficoltà di elaborare correttamente le informazioni provenienti dal mondo esterno. I sintomi dell’autismo sono molteplici e di varie intensità: isolamento sociale, assenza di empatia, ripetizione di schemi comportamentali stereotipati, interpretazioni di metafore alla lettera e difficoltà nell’imitare le azioni. Sono state formulate diverse teorie per spiegare l’autismo, quella considerata più brillante dagli scienziati V. Ramachandran e L. Oberman è un deficit della Teoria della Mente, proposta da Uta Frith (Univerisity College di Londra) e Simon-Baron Cohen (Università di Cambridge). La Teoria della Mente (ToM) consiste nella capacità di rappresentare gli stati mentali dei nostri simili, formulando previsioni sul loro comportamento. Tuttavia, un deficit di questa capacità non spiega a fondo tutti i sintomi dell’autismo. L’obbiettivo dei ricercatori era quello di trovare un meccanismo cerebrale che risultasse alterato nei soggetti autistici, e qui entrarono in gioco i primi esperimenti con i neuroni specchio. L’idea di base è che un malfunzionamento dei neuroni specchio sia responsabile dei deficit comunicativi e imitativi dell’autismo, soprattutto l’incapacità di rispecchiarsi negli altri, interagire con essi e conseguentemente valutare le intenzioni altrui. È così che venne formulata la Teoria degli Specchi Infranti.
Come dimostrare la correlazione tra neuroni specchio e autismo?
Per verificare l’attività del sistema specchio vennero misurate le onde cerebrali grazie all’elettroencefalogramma (EEG). In particolare, venne presa in considerazione l’onda µ, uno dei tanti pattern neurali che vengono registrati con l’EEG. L’onda è bloccata da movimenti muscolari volontari, dal pensiero del movimento e quando si osserva un’altra persona svolgere l’azione. Quanto emerse sembrava confermare la teoria degli specchi infranti. Infatti, nei bambini affetti da autismo l’onda µ non veniva soppressa durante l’osservazione del movimento, diversamente dai soggetti di controllo.
Questo risultato venne presentato per la prima volta al congresso Society for Neuroscience a New Orleans nel 2000 dal gruppo di ricerca dell’Università della California San Diego. La mancanza di attività dei neuroni specchio in alcune aree del cervello (dovuta a fattori ancora sconosciuti) sembrava dimostrare i segni primari dell’autismo, escludendo però un’ampia parte di sintomi secondari. Sebbene quindi la teoria degli specchi infranti necessiti di essere ampliata e strutturata, si presenta come una valida ipotesi trattata oggi da molti gruppi di ricerca. L’obiettivo comune è quello di avere a disposizione nuovi strumenti per il trattamento e la diagnosi della malattia.
Articolo a cura di Gloria Zucchini.