Diagnostica

Un test non invasivo rileva le cellule del cancro e ne individua la posizione

La maggior parte dei test utilizzate per diagnosticare il cancro, come la mammografia, la colonscopia e le scansioni TC, si basano sull’imaging. Più di recente, i ricercatori hanno anche sviluppato una diagnostica molecolare in grado di rilevare specifiche molecole associate al cancro che circolano nei fluidi corporei come il sangue o l’urina. Gli ingegneri del Massachusetts Institute of Technology (MIT) hanno creato un nuovo tipo di nanoparticelle diagnostiche che combinano entrambe queste caratteristiche: possono rivelare la presenza di proteine ​​cancerose attraverso un test delle urine e funzionano come un agente di imaging, individuando la posizione del cancro. In linea di principio, questa tecnica diagnostica potrebbe essere utilizzata per rilevare il cancro in qualsiasi parte del corpo, compresi i tumori che hanno metastatizzato dalle loro posizioni originali.

“Questo è un sensore davvero ampio destinato a rispondere sia ai tumori primari che alle loro metastasi. Può innescare un segnale urinario e permetterci anche di visualizzare dove si trovano i tumori”, afferma Sangeeta Bhatia, ricercatrice biomedica, professoressa del MIT e imprenditrice biotecnologica. In un nuovo studio, Bhatia e i suoi colleghi hanno dimostrato che questa innovativa tecnica diagnostica potrebbe essere utilizzata per monitorare la progressione del cancro del colon e la diffusione dei tumori metastatici al polmone e al fegato. I ricercatori, sperano che possa essere sviluppato un test oncologico di routine che possa essere eseguito ogni anno.

Localizzare il cancro con un test dell’urina

I nanosensori multimodali (1) sono progettati per rispondere ai segni distintivi del microambiente tumorale. I nanosensori forniscono sia uno strumento di monitoraggio urinario non invasivo (2) sia un agente di imaging medico (3) per localizzare le metastasi tumorali e valutare la risposta alla terapia. Credits: Liangliang Hao

Negli ultimi anni, Bhatia ha sviluppato una tecnica diagnostica che funziona generando biomarcatori sintetici che possono essere facilmente rilevati nelle urine. Molte delle cellule tumorali esprimono enzimi, chiamati proteasi, che le aiutano a sfuggire alle loro posizioni originali tagliando le proteine ​​della matrice extracellulare. Le nanoparticelle di rilevamento del cancro studiate da Bhatia sono rivestite con peptidi che vengono scissi da queste proteasi. Quando queste particelle incontrano un tumore, i peptidi vengono scissi ed escreti nelle urine, dove possono essere facilmente rilevati. Nei modelli animali di cancro ai polmoni, questi biomarcatori possono rilevare precocemente la presenza di tumori. Tuttavia, non rivelano la posizione esatta del tumore o se il tumore si è diffuso oltre il suo organo di origine.

Basandosi sui loro precedenti sforzi, i ricercatori del MIT hanno voluto sviluppare quella che chiamano una diagnostica “multimodale”, che può eseguire sia lo screening molecolare (rilevando il segnale urinario) sia l’imaging, per capire esattamente dove si trovano il tumore originale e le eventuali metastasi. Per modificare le particelle in modo che potessero essere utilizzate anche per l’imaging con PET, i ricercatori hanno aggiunto un tracciante radioattivo chiamato Rame 64. Hanno anche rivestito le particelle con un peptide attratto da ambienti acidi, come il microambiente nei tumori, per indurre le particelle ad accumularsi nei siti tumorali. Una volta raggiunto un tumore, questi peptidi si inseriscono nelle membrane cellulari, creando un forte segnale di imaging al di sopra del rumore di fondo.

I risultati della ricerca

I ricercatori hanno testato le particelle diagnostiche in due modelli animali di cancro del colon metastatico, in cui le cellule tumorali hanno raggiunto il fegato o i polmoni. Dopo il trattamento con un farmaco chemioterapico comunemente usato per trattare il cancro del colon, i ricercatori sono stati in grado di utilizzare sia il segnale delle urine sia l’agente di imaging per monitorare come i tumori hanno risposto al trattamento.

I ricercatori hanno anche scoperto che accoppiare il Rame 64 con le loro nanoparticelle offre un vantaggio rispetto alla strategia che viene generalmente utilizzata per la PET. Il tracciante PET, noto come fluorodeossiglucosio (FDG), è una forma radioattiva di glucosio che viene assorbita dalle cellule metabolicamente attive, comprese le cellule tumorali. Tuttavia, il cuore genera un segnale PET luminoso quando esposto a FDG e quel segnale può oscurare i segnali più deboli dai tumori polmonari vicini. I ricercatori hanno scoperto che l’utilizzo di nanoparticelle sensibili al pH acido per accumulare Rame 64 nell’ambiente tumorale fornisce un’immagine molto più chiara dei tumori polmonari.

Verso uno screening multimodale

La professoressa Sangeeta Bhatia. Credits: Bryce Vickmark

Se approvato per l’uso in pazienti umani, questo tipo di diagnostica potrebbe essere utile per valutare la risposta al trattamento nei pazienti e per il monitoraggio a lungo termine della recidiva o delle metastasi tumorali, in particolare per il cancro del colon.

“I pazienti potrebbero essere monitorati con la versione urinaria del test ogni sei mesi, per esempio. Se il test delle urine fosse positivo, potrebbero procedere con una versione radioattiva dello stesso agente per uno studio di imaging che potrebbe indicare dove si è diffusa la malattia. Riteniamo inoltre che il percorso normativo possa essere accelerato con entrambe le modalità di test sfruttando un’unica formulazione”, afferma Bhatia. In futuro, spera che questa tecnologia possa essere utilizzata come parte di un test per screening diagnostico che potrebbe essere somministrato periodicamente per rilevare qualsiasi tipo di cancro.

“La visione è che si potrebbe utilizzare questo in un paradigma di screening – da solo o in combinazione con altri test – e potremmo raggiungere collettivamente i pazienti che oggi non hanno accesso a costose infrastrutture di screening“, afferma. “Ogni anno potresti fare un esame delle urine come parte di un controllo generale. Faresti uno studio di imaging solo se il test delle urine diventa positivo per scoprire da dove proviene il segnale. Abbiamo molto più lavoro da fare per arrivarci, ma è lì che vorremmo andare a lungo termine”.

Published by
Benedetta Paoletti